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10/12/2025 ore 06.30
Cronaca

10 dicembre 1976, il delitto che scosse Cittanova e accese un faro sulla Calabria: muore, ucciso per errore dalla ‘ndrangheta, il giovane comunista Ciccio Vinci

In piena Faida, in una sera d’inverno si trovava a bordo della macchina del cugino con la zia e un altro cugino. L’anno dopo l’intensa interpellanza della deputata comunista, emiliana ma reggina e calabrese di adozione, Enza Marchi, per invocare iniziative del Governo contro la mafia in Calabria

di Anna Foti

«Bisogna spezzare questa ragnatela che opprime tutta la Calabria». Era il 1976 quando in una gremita sala del Consiglio comunale di Cittanova un giovane animato da un profondo senso di giustizia e di libertà pronunciava queste parole, dimostrando il coraggio di denunciare la presenza asfissiante della ‘ndrangheta nella piana di Gioia Tauro e non solo.

Parole pronunciate mentre nessuno parlava apertamente di questa piaga sociale che ancora oggi attanaglia i territori nella sua morsa, avendo esteso smisuratamente i suoi confini e i suoi interessi.

Quel giovane era Francesco Vinci. Tutti lo chiamavano Ciccio perché in tanti lo conoscevano, lo apprezzano, lo stimavano. Un giovane pieno di vita, uno studente appassionato ma anche calciatore di talento. Ciccio era tante cose ma più di tutto era un giovane che aveva capito e che invocava un cambiamento.

Solo 18 anni ma già la lucida consapevolezza del male assoluto che avvelenava la sua comunità segnata già da anni dalla feroce faida tra i clan dei Facchineri e quello dei Ligato–Raso-Albanese-Gullace-De Raco. Una faida che non risparmia neppure i bambini. Nell’aprile del 1975 un commando aveva aperto il fuoco uccidendo Domenico Facchineri di 12 anni e Michele Facchineri di 9 anni.

Per contrastare quel male e costruire un’alternativa nel suo territorio, Ciccio sceglie l’impegno politico. Il passo è deciso ed è verso la Federazione dei Giovani Comunisti. Abbraccia la passione ispirata da Enrico Berlinguer, nonostante sia nato in una famiglia di democristiani. Quel discorso nella sala consiliare è il momento culmine di un percorso che sarebbe continuato se la sera del 10 dicembre 1976 non fosse stato ucciso per errore in quella faida che stava segnando la storia della sua generazione.

L’agguato e ...l’errore

Lo uccidono nel buio di una sera di dicembre. Ciccio si ritrova improvvisamente, casualità che inganna i killer, a dover accompagnare la zia Carmela Bottiglieri a prendere lo zio Girolamo Guerrisi. Con loro in macchina c’è anche il cugino Salvatore Catanese. Ma la macchina non è di Ciccio Vinci. È del cugino Rocco Guerrisi. Così l’inganno per il commando assoldato per uccidere è completo. Ciccio è alla guida ma non avrebbe dovuto esserlo e l’obiettivo dell’agguato è la famiglia Guerrisi.

Si tenta di insinuare che la famiglia di Ciccio fosse coinvolta nella faida, viste anche le parentele, e anche di strumentalizzare il suo impegno politico per depistare e insabbiare la verità sul delitto.

Ma la verità, per la quale si batte anche mamma Teresa, è però poi affermata. Negli anni Ottanta con i due gradi di giudizio, arrivano le condanne, poi confermate fino in Cassazione, per Vincenzo Marvaso, Francesco Trimarchi e Gerardo Galluccio. Assolto per insufficienza di prove Romeo Marvaso. Tra i responsabili, dunque, anche Vincenzo Marvasi, compagno di classe di Ciccio, grande assente ai funerali. Circostanza non passata inosservata.

Verità e giustizia ristabilite

Il delitto di Ciccio Vinci è, dunque, tra i pochi che hanno avuto verità e giustizia. Scrivono Danilo Chirico e Alessio Magro.

«La giustizia, per una volta, è stabilita. La verità viene fuori in maniera inequivocabile. Ciccio è estraneo alla mafia e alla cultura mafiosa, considera l'impegno contro la ‘ndrangheta il suo impegno principale. Ciccio è vittima di un errore fatale. Un errore che è un vantaggio per i clan di Cittanova. I killer volevano uccidere un'altra persona, probabilmente un suo cugino. Ma la morte di Ciccio Vinci è frutto della logica della faida e dice a tutti che nessuno può fingere di non vedere. I giudici spiegano a chiare lettere che siamo di fronte a un delitto della guerra che contrappone il clan dei Facchineri a quello dei Raso-Albanese-Gullace, “al quale ultimo”, si legge nella sentenza, “erano passati i Guerrisi abbandonando i Facchineri ancorché parenti”. I killer stavano dall'altra parte e avevano eseguito la sentenza per conto del clan. Non è morto invano, però, Ciccio Vinci. Il suo delitto ha scosso la politica del paese avviando una fase di rinnovamento che porterà uno dei suoi amici più cari, Franco Morano, a diventare sindaco. E i frutti del cambiamento si vedono anche quando, grazie all'inchiesta del procuratore di Palmi Agostino Cordova, nasce l'esperienza dei commercianti di Cittanova che decidono di denunciare i loro estorsori. Era nata l'Acipac la prima associazione antiracket italiana».

L’indignazione dei giovani

Resta vittima della faida di cui denunciava la fitta ragnatela Ciccio ma la sua morte accende un faro sulla Calabria e svela la violenza di una ‘ndrangheta che si nutre dell’indifferenza e dell’indolenza. E allora in tanti reagiscono. Sono giovani, e non solo, e in migliaia scendono in strada perché è un’ingiustizia quella faida che miete innocenti. È un’ingiustizia morire a 18 anni. Il ricordo di Ciccio resta vivo. La sua elezione a rappresentante del suo liceo avviene “alla memoria”, a dispetto di quella morte che la casualità non rende meno insopportabile o più tollerabile.

Aveva 18 anni al momento di quel discorso in pubblico, lui che non amava i comizi ma credeva nella politica fatti di confronti con le persone, incontrandole de visu. Così lo descrivono nel diario dei Dimenticati, i giornalisti reggini Danilo Chirico e Alessio Magro che della sua storia, unitamente a quella del mugnaio rosso ucciso nel 1977 Rocco Gatto, collaborando anche con Claudio Careri, scrissero anche ne “Il sangue dei Giusti. Due comunisti uccisi dalla ‘ndrangheta”.

L’ardore politico di Ciccio Vinci, vittima innocente della ‘ndrangheta, ha travalicato la sua morte. Il suo esempio e la sua ispirazione restano senza tempo. Nel 2022 il liceo Guerrisi di Cittanova, che lui frequentava, ha onorato la sua memoria con l'intitolazione della biblioteca.

Un forte richiamo delle coscienze

Resta il ricordo di un impegno pulito e libero che fu di un ragazzo normale, portatore, come nessun altro al pari, di una straordinaria forza dirompente. La sua morte amplificò la consapevolezza di una presa di coscienza del fenomeno. Il suo impegno politico iniziava a seminare il cambiamento ancora oggi in atto.

Un cambiamento che ha unito e unisce menti e libere e coscienze integre, come quella di Ciccio, in questa lotta irrinunciabile per la libertà.

Il male mafioso oggi non è ancora debellato. Si è trasformato, evoluto, innervato. Anche rafforzatoPer nulla appare anacronistico quel paragone con la ragnatela. Parole che oggi potremmo anche definire profetiche che furono richiamate, tra le altre parole profetiche, da Enza Marchi, deputata, militante del Pci, sindacalista, attivista dell’Udi e fondatrice, emiliana di origine e reggina e calabrese di adozione. 

Addio Enza Marchi, la forza della mitezza e la grandezza dell'umiltà

In una sua interpellanza sull’uccisione del giovane esponente comunista Francesco Vinci e sulle iniziative del Governo scontro la mafia in Calabria, rivolta all’allora sottosegretario all’Interno Nicola Lettieri, nella seduta del 12 dicembre 1977, un anno dopo il delitto, così rappresentava la sua insoddisfazione circa gli esiti della trattazione delle sue richieste.

L’interpellanza di Enza Marchi

« (…) Non è stata spezzata quella ragnatela contro cui il compagno Vinci ha lottato ed è morto. Anzi, questa ragnatela è ancora tanto grande e forte che ogni giorno minaccia la vita di tutti i cittadini e della collettività. Nel prendere atto dello sforzo compiuto dalle forze dell’ordine e dai carabinieri in Calabria nella lotta contro il crimine, con un alto tributo di sangue e di vite umane, alle quali va il nostro riverente pensiero, dobbiamo dire in questa occasione che da parte del Governo non sono state prese particolari misure, nel campo economico e sociale, atte a rimuovere la drammatica situazione che stiamo vivendo. Questa situazione si è aggravata e le soluzioni stentano ad essere indicate, che i pericoli sono gravi e che il turbamento è forte, che la fragile economia calabrese non regge più. Da tutto questo derivano condizioni favorevoli al dilagare delle organizzazioni criminali e mafiose.

Già in altre occasioni si sono svolti dibattiti su questi argomenti; già altre volte si sono avuti interventi e sono state promesse misure particolari; già altre volte sono state avanzate sollecitazioni; ma ancora non abbiamo visto i frutti sperati, e nemmeno le avvisaglie di una inversione di tendenza».

Responsabilità e memoria

Era il 1977. La gravità del fenomeno ‘ndrangheta, nei fatti, era percepito da pochi e sottovalutato dai più. Una sottovalutazione che in tanti, troppi hanno pagato anche con la vita, che ancora paghiamo e che ancora pagheremo. Oggi l’attenzione è massima ma, date le trasformazioni e rafforzamenti profondi, il cammino è lungo.

E mentre risuona ancora quel monito di Enza Marchi, rimasto evidentemente a lungo inascoltato, quelle parole di un giovane diciottenne di Cittanova che in un piccolo comune in punta all’Italia aveva intuito con chiarezza il pericolo di una organizzazione, che oggi è una potente holding internazionale, incarnano quel destino ancora attuale di calabresi chiamati all’impegno, al coraggio e alla responsabilità. Il nome di quel giovane è Ciccio Vinci.