Sezioni
17/11/2025 ore 06.30
Cronaca

Emergenza lavoro esterno a Reggio, Barillà: «Occorre il contributo della società civile per garantire il reinserimento delle persone detenute»

La magistrata di sorveglianza reggina spiega: «A noi la responsabilità di valutare, alla comunità quella di accogliere e di offrire opportunità. Solo così garantiremo alla persona di riscattarsi e di tornare libera migliore di come è entrata in carcere»

di Anna Foti

«La possibilità di avere un riscatto sociale e di mettersi alla prova con un’attività lavorativa fuori dal carcere consente a loro di guardare oltre quel periodo di detenzione, ad un futuro più concreto di riscatto quando poi usciranno, e garantisce il recupero della libertà a persone che, dopo avere commesso un reato, tornano in società migliori di come sono entrate in carcere».

Ne è convinta Cinzia Barillà, magistrata presso il tribunale di Sorveglianza di Reggio Calabria. Il contesto è quello in cui nel carcere Giuseppe Panzera di Reggio, tanto nel plesso San Pietro e che in quello di Arghillà, latitano le opportunità di lavoro esterno, a fronte di un grave sovraffollamento.

Sono in tutto sono oltre 560 i detenuti a fronte meno di 450 posti di fatto disponibili.

Secondo i dati diffusi dall'osservatorio Carceri dell'Unione Camere Penali ad Arghillà su 294 posti regolamentari, 13 non sono disponibili, a fronte di 364 persone detenute. Al Panzera di Reggio su 180 posti regolamentari, 13 non sono disponibili, mentre i detenuti totali sono 199.

Sovraffollamento a Locri, Laureana e Arghillà, dove manca anche personale. Pure a San Pietro sanità e trattamenti in affanno

Esecuzione penale e lavoro esterno per fronteggiare il sovraffollamento 

«La situazione detentiva nelle carceri di Reggio rispecchia la crisi odierna delle carceri. Il sovraffollamento, purtroppo – prosegue la magistrata di sorveglianza, Cinzia Barillà - non implica soltanto che in una camera detentiva ci siano più persone di quante ne sarebbero previste. Significa anche che l’attenzione di educatori, magistrati, medici e personale deve essere prestata a un numero maggiore di persone. Sono di più, dunque, le persone detenute da assumere in custodia e in cura.

Occorre fare rete e investire sull’esecuzione penale esterna con un coinvolgimento attivo della società civile per esempio per le offerte di lavoro e la possibilità di impiego utile dei detenuti. Non è un’utopia, è piuttosto l’unico modo per investire sulla loro messa alla prova. I cattivi fateli fare a noi. Le persone che potrebbero fruire delle opportunità di lavoro esterno sono persone che hanno superato una serie di vagli, con riferimento sia al reato commesso che al percorso rieducativo in detenzione. Hanno diritto ad avere la loro possibilità».

I percorsi trattamentali dovrebbero, dunque, essere implementati anche con attività di lavoro esterno, oltre che con corsi di formazione professionale che, secondo i dati rilevati dall’associazione Antigone, fanno molta fatica.

Medico h24 non garantito tutti i giorni e nessun lavoro esterno a Reggio, Arghillà e Locri: le gravi carenze rilevate da Antigone

Reti e sinergie fuori dal carcere per il carcere

«Se noi ci limitassimo alla sola attività istituzionale dovremmo rivolgerci al Dap e all'ufficio di Esecuzione penale esterna, che fanno un lavoro meritorio e al di sopra delle loro possibilità, non avremmo possibilità di favorire alcun miglioramento. I fondi che lo Stato riserva attraverso il Dap sono quelle indispensabili per pagare gli psicologi e le attività di supporto all’area educativa. Noi dobbiamo andare oltre - prosegue ancora la magistrata di sorveglianza, Cinzia Barillà - e lo facciamo creando sinergie entrando in rete con Prefettura, Confindustria, Confcommercio, con chiunque possa contribuire a superare queste barriere e questi pregiudizi. Non lo facciamo in un’ottica manichea e solidaristica ma perchè crediamo nella rieducazione come valore costituzionale e solo rimboccandoci un pò tutti le maniche, mettendoci al lavoro possiamo sperare in qualche risultato.

Noi abbiamo la fortuna di poter contare su un grandissimo aiuto da parte del volontariato. Il volontariato nutre il nostro carcere e ci dà la possibilità di inserire attività di riflessione, di cinema alle quale anche noi come distretto abbiamo partecipato».

La lunga attesa

E dunque senza il volontariato, che non richiede risorse e economiche ma solo un grande impegno della società civile, tante attività non potrebbero essere svolte con conseguenze dirette sulla vita delle persone ristrette e private della libertà personale.

Occorre, tuttavia, che vi sia anche uno slancio anche da parte dei segmenti in grado di contribuire fuori attraverso opportunità di reinserimento lavorativo. Il terreno futuro sul quale iniziare a costruire una nuova esistenza nella prospettiva della libertà, va preparato ancora prima di finire di scontare la pena. Ciò rientra nella funzione rieducativa della pena, prevista dalla nostra Costituzione. 

«La vita in carcere è chiaramente scandita dai ritmi costrittivi particolarmente afflittivi. Nel periodo Covid, e anche in qualche periodo precedente, con il cosiddetto regime a stanze aperte, il detenuto poteva stare più di otto ore fuori dalla cella, quantomeno muovendosi liberamente all’interno della sezione.

Gradualmente tutto è tornato a un regime restrittivo più ferreo. Ciò significa che spesso un detenuto fuori dalla stanza, nella maggior parte dei casi occupata da 7-8 persone, sta solo due ore per la socialità e quattro di aria. Tutto il resto della giornata è scandito da una lunga attesa - conclude la magistrata di sorveglianza, Cinzia Barillà - che le attività trattamentali devono occupare, attuando la funzione rieducativa della pena. Ecco perchè occorre migliorare e occorre fare rete per fare di più insieme».

L’articolo 27 della Costituzione e il ruolo della società civile

Seppure una riflessione sull'emergenza occupazionale endemica alle nostre latitudini e sulla necessità di maggiori investimenti dello Stato sui percorsi trattamentali - si vedrà quale sarà l'impatto di questo nuovo (ennesimo) piano carceri - sia doverosa, la sensibilizzazione della società civile su questo tema è essenziale. Non vi è altro modo per alimentare un senso di comunità capace di costruire ponti che uniscano e non muri che isolino. Giustizia è consentire di riparare, di rimediare. Giustizia è insegnare a imparare dagli errori, è insegnare a ricominciare. Il carcere, in uno stato di Diritto, è strumento solo e soltanto di questa Giustizia.