La memoria e il diritto alla verità, Rosanna Scopelliti: «Papà, manchi. Ma tanti giovani studiano ispirati dal tuo esempio»
Ha manifestato fiducia «che il corso della giustizia porterà alla verità», Antonia Anile, la vedova di Antonino Fava, carabiniere barbaramente ucciso con il collega, l’appuntato Vincenzo Garofalo, in uno scontro a fuoco, nell’adempimento del dovere, sull’autostrada A2 nel tratto reggino che precede lo svincolo di Scilla in direzione Reggio, il 18 gennaio 1994. Lo ha fatto questa mattina alla solenne commemorazione dell’Arma al cospetto del monumento alla memoria.
La giustizia ancora attesa a distanza di decenni genera anche stanchezza nei familiari che la invocano. Oggi sarebbe stato il 90° compleanno del giudice Antonino Scopelliti, ucciso in un agguato a Piale, tra Campo Calabro e Villa San Giovanni, il 9 agosto 1991. La figlia Rosanna, presidente della fondazione intitolata alla sua memoria, in un post dedicato a questi 34 anni senza il papà, strappatole con violenza quando era solo una bambina. Parole di una figlia che sente, ancora e sempre, la mancanza del padre e del nonno della sua Elena Maria, come della giustizia e della verità ancora negate sul delitto di quasi 34 anni fa. Parole che testimoniano un impegno e tutta la resilienza necessaria per continuare, malgrado tutto, a costruire e generare speranza in Calabria.
«34 compleanni. La sedia vuota. Il tuo studio che non profuma più di sigarette e caffè. Il mio sguardo che ti cerca sempre nei luoghi in cui ero abiuata ad incontrare il tuo sorriso. Elena Maria dice che dobbiamo festeggiare ugualmente e mi ha fatto promettere di portare la torta quando rientrerò dall’ufficio.
Io però sono stanca. Del vuoto. Del silenzio. Di portarmi questa tua valigia rossa ovunque e infilarmici dentro per nascondermi dalla solitudine e dagli infiniti dubbi. Sono stanca di non trovarti. Sono stanca di essere forte.
Poco fa mi è arrivata la telefonata di una docente che ho conosciuto in una scuola qualche anno fa, mi ha raccontato di una ragazza che si è diplomata con un lavoro su di te. Ora studia giurisprudenza e le ha chiesto di farmelo sapere e che voleva chiedermi se tra i tuoi libri ce ne fosse qualcuno a lei utile per formarsi.
Le ho consigliato qualcosa e sono tornata a lavoro.
Per te. Per quei ragazzi che da tutta Italia partecipano al concorso che porta il tuo nome. Per i lavori che hanno fatto studiando il tuo esempio.
Quest’anno, il 25 gennaio, consegneremo le borse di studio alla tua memoria mentre la Corte d’Appello celebrerà l’inizio dell’anno giudiziario. Non è ovviamente una scelta voluta, ma questa coincidenza mi fa riflettere, la prendo come un ennesimo segnale per riflettere sul fatto che forse mentre tanto si parla agli addetti ai lavori e tra gli addetti ai lavori, contestualmente e altrettanto bisogna mettersi in gioco e parlare ai giovani. Altrimenti noi adulti continueremo a immaginare e costruire un Paese alla nostra portata che non tiene conto invece delle esigenze, delle possibilità e delle ambizioni dei nostri ragazzi.
Mi fa riflettere, anche alla luce dell’ultimo grido disperato dei familiari dei Carabinieri Fava e Garofalo, sull’urgenza di garantire verità e giustizia alle vittime di mafia e ai loro familiari. Sull’urgenza che, al netto delle difficoltà, tutto il sistema Giustizia sia rivisto come già scrivevi tu negli anni ‘70-‘80. Sono passati decenni, ma sembra tutto ancora così attuale.
Così adesso mi rimetto a lavoro pensando alle tante iniziative messe in campo con la Fondazione. Ai progetti sull’inclusione, alla memoria, alla valorizzazione del territorio come strumento di riscatto e impegno contro le mafie. È un po’ sorrido.
Manchi. Ma sono fortunata per tutto ciò che di bello mi hai regalato».