Le ragioni della separazione delle carriere: il dibattito tra magistrati e avvocati
«Il 27 febbraio abbiamo assistito ad una mobilitazione nazionale dei magistrati impegnati nel manifestare con lo sciopero, contro la riforma costituzionale della separazione delle carriere.
Anche Reggio Calabria ha dato il proprio contributo alla manifestazione con l’intervento di numerosi magistrati e con una tavola rotonda alla quale sono stato invitato, quale Presidente della Camera Penale di Reggio Calabria, moderata dal giornalista Arcangelo Badolati, a cui hanno preso parte il dott. Walter Ignazitto, procuratore aggiunto di Reggio Calabria, il dott. Alessandro Liprino, consigliere della Corte d’Appello di Reggio Calabria, la dott.ssa Cinzia Barillà, magistrato presso il Tribunale di sorveglianza di Reggio Calabria, il prof. Daniele Cananzi, ordinario di filosofia del diritto dell’Università Mediterranea».
Così, in una nota, l’avvocato Francesco Siclari, Presidente della Camera Penale di Reggio Calabria.
«Inutile dire che la voce dell’avvocatura, rappresentata, oltre che dal sottoscritto, dai rappresentanti dei COA di Reggio Calabria, Palmi e Locri, ha, invece, gridato a gran voce le ragioni che impongono la pronta realizzazione del nuovo assetto costituzionale, ingenerando il plateale e, per la verità, alquanto scomposto dissenso dell’uditorio, costituito per la maggior parte da magistrati.
La fondamentale ragione per la separazione delle carriere risiede nella non più prorogabile necessità di dare attuazione al comma 2 dell’art. 111 della Costituzione nella parte in cui prevede – letteralmente – che ogni processo si svolga nel contradditorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale.
È di tutta evidenza che la piena realizzazione delle condizioni di parità tra accusa e difesa davanti ad un giudice equidistante tra la parti processuali, non può che passare dalla separazione delle carriere dei magistrati in requirenti e giudicanti.
Non si può, inoltre, convenire con alcuno degli argomenti utilizzati dai magistrati nella loro propaganda contro la riforma in atto, definita illiberale e contro la costituzione.
Dimenticano, infatti, i magistrati che la scelta della riforma delle carriere dei magistrati attraverso una legge costituzionale rappresenta la massima espressione della democrazia e della sovranità popolare, visto lo stringente iter previsto dall’art. 138 della nostra Carta Costituzionale. Quindi, nessun attacco alla Costituzione (ma siamo seri?) e sottoposizione al referendum popolare (un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori) se la legge non viene approvata dai due terzi dei componenti di ciascuna Camera.
Non coglie nel segno neanche l’appello alla paura lanciato dal coro dei no alla riforma che allerta il cittadino contro un PM super poliziotto, novello inquisitore generale sottomesso al potere dell’esecutivo.
Paura assolutamente infondata se sol si veda il testo di quello che dovrebbe essere il nuovo art. 104 Costituzione che, testualmente prevede: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere ed è composta da magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente”.
Un articolo così chiaro che non meriterebbe nessun tipo di commento in ordine al fatto che la autonomia del magistrato requirente, quindi del PM, è assolutamente e costituzionalmente garantita al pari di quella del magistrato giudicante, ovvero del giudice. Nessuno spazio di ingerenza del potere esecutivo su alcuno dei magistrati, nessuna nuova stagione inquisitoria alle porte.
Dicono, ancora, che il PM perderebbe la cultura della giurisdizione separando la sua carriera da quella del giudice.
Incomprensibile la ragione per la quale il PM dovrebbe caratterizzare la sua azione dalla cultura della giurisdizione, a tutti noi ed ai cittadini in primis basterebbe una magistratura requirente guidata dalla cultura della legalità per essere la migliore versione possibile di sé stessa.
Nessuno si aspetta di essere giudicato da un PM, né tantomeno aspira ad esserlo.
In ultimo, i magistrati insorgono contro la nuova struttura dei due CSM, organi di autogoverno della magistratura, e della composizione dell’Alta Corte di Giustizia (organo disciplinare) perché demandati ad un meccanismo di sorteggio che ne svilisce la effettiva rappresentatività.
Su quest’ultimo punto, urticante rimedio voluto per prevenire inaccettabili distorsioni da derive correntizie, in realtà, potrebbe convenirsi e pensare, ad esempio, ad una forma di sorteggio temperato o di secondo livello, tale da consentire una adeguata e legittima rappresentatività della base.
Certo, a patto che il dialogo non si limiti all’invito, rectius convocazione, del rappresentante dell’avvocatura penalista al solo fine di contestarne rumorosamente le idee, ma sia occasione di riflessione e confronto.
Non mancheranno, ne sono certo, le occasioni».