Omicidio del tabaccaio Ielo, due ergastoli ma cade la pista mafiosa: «Non fu un delitto di ’ndrangheta»
La Corte d’Assise d’Appello ridisegna il quadro del 2017: confermate le condanne più pesanti, assoluzioni parziali e un movente che riporta il caso al terreno della concorrenza commerciale
Non fu la ’ndrangheta a decidere la morte di Bruno Ielo, il tabaccaio di Reggio Calabria assassinato la sera del 25 maggio 2017. A stabilirlo è la Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria, che nella tarda serata del 26 novembre ha ribaltato uno dei punti centrali dell’accusa: il delitto non ebbe natura mafiosa.
Una decisione che ridisegna i contorni di uno dei casi più discussi degli ultimi anni in città, riportando l’omicidio sul terreno di un movente diverso: la concorrenza commerciale ritenuta “scomoda” nell’area di Reggio nord, dove Ielo — tabaccaio ed ex carabiniere — aveva costruito un’attività in crescita e considerata altamente competitiva.
La Corte, presieduta dal giudice Di Landro con a latere il giudice Monaco, ha riformato la sentenza di primo grado del 12 dicembre 2022 ed è intervenuta in modo significativo sulla posizione degli imputati.
In particolare sono stati assolti dal reato di estorsione e concorrenza sleale per non aver commesso il fatto: Giuseppe Antonio Giaramita e Cosimo Scaramozzino.
Contestualmente, è stata esclusa l’aggravante mafiosa dell’art. 416 bis.1 per tutti i reati contestati. Una scelta che cambia la natura giuridica del processo e, in parte, incide sulle pene.
Dopo la caduta dell’aggravante mafiosa, la Corte ha rideterminato le condanne principali: Francesco Polimeni ergastolo, con 10 mesi di isolamento diurno, Francesco Mario Dattilo ergastolo, con 8 mesi di isolamento diurno, Cosimo Scaramozzino 22 anni di reclusione e Giuseppe Antonio Giaramita: 9 anni e 8 mesi di reclusione.
Per Giaramita è arrivata anche la decisione più immediata: la revoca della misura cautelare in carcere e la liberazione immediata, salvo altre cause pendenti.
La decisione della Corte d’Assise d’Appello segna un passaggio cruciale nella vicenda giudiziaria: il delitto non fu una esecuzione mafiosa, ma un omicidio maturato in un contesto di competitività commerciale, in un territorio dove ogni dinamica economica risulta inevitabilmente osservata con attenzione.
Per Bruno Ielo, ucciso mentre tornava a casa in scooter, resta la tragedia di una vita spezzata e una ferita ancora aperta per la comunità di Reggio.
Le motivazioni della sentenza — per le quali la Corte si è riservata 90 giorni — saranno decisive per comprendere a fondo le ragioni della caduta dell’aggravante mafiosa e il percorso logico-giuridico che ha portato alla nuova ricostruzione del delitto.