Operazione “Arangea”, il dominio di Mico Palumbo e gli imprenditori sugli “attenti”
di Vincenzo Imperitura – Appalti da controllare, imprese da strozzare, lavori, anche i più piccoli, da gestire attraverso aziende amiche: Demetrio “Mico” Palumbo, anziano boss di Arangea orbitante nel clan Ficara-Latella, non si lascia sfuggire niente di quanto accade sul quello che considera il suo territorio di competenza. È lui il referente in quel quartiere periferico a sud di Reggio e, forte degli accordi maturati in seguito alla sanguinosa seconda guerra di ‘ndrangheta, è lui che si occupa di gestire il flusso di denaro che arriva, copioso, dal giro di estorsioni. Ed è sempre lui, sostengono gli inquirenti che lunedì hanno stretto il cerchio arrestando 12 persone a vario titolo coinvolti negli affari del clan, che rimette in riga quei sodali che avanzano pretese ritenute non accettabili. Anche quando si parla di pochi spiccioli.
Gli accordi post guerra
Ha i contorni della gangster story crepuscolare quella compendiata nelle 600 pagine di ordinanza della distrettuale antimafia dello Stretto. Una storia di malaffare costruita sulla pelle dei tanti imprenditori taglieggiati e costretti a rivolgersi ai boss prima ancora di accettare un lavoro che rientri nel territorio del clan e che racchiude al suo interno anche le richieste di elementi di secondo piano del panorama criminale reggino, smaniosi di recuperare un posto al sole. Anche solo per 50 euro. Come nel caso di Nino Ficara, esponente della cosca dei “Ficareddi”, che rivendica una spartizione più equa dei guadagni illeciti.
È lo stesso Palumbo a lamentarsene, intercettato dagli inquirenti, durante una conversazione con un sodale. Nell’accesso confronto tra i due (aperto anche ad altri 4 personaggi mal visti da Palumbo che teme, da parte di questi soggetti, eventuali future collaborazioni con la giustizia) Ficara rivendicava il suo ruolo e ricorda al vecchio boss come «qua (ad Arangea, nel quartiere Gallina, ndr) ci sono due locali» e avanzando la richiesta di dividere a metà i profitti degli affari criminali. Una richiesta che Palumbo rigetta con sdegno richiamando all’ordine il sottoposto – che nella gerarchia della ndrangheta reggina riveste un ruolo minore e cui in passato ha svolto il ruolo di autista dello stesso boss – e ricordando che gli assetti criminali della città (con la relativa spartizione degli affari) era stata delineata in seguito alla pace scaturita dopo il mattatoio della seconda guerra di mafia tra il 1985 e il 1991: «Cu tu ndotau u 50%? – urla Palumbo all’esponente dei Ficareddi rinfacciando gli accordi storici – i fatti sono questi. Io ho parlato con i morti, se vengono i morti e mi dicono cambiamo, io cambio. Se no…».
Le mani sulla città
È pesante il cappio che la cosca ha stretto attorno alle attività imprenditoriali del quartiere a sud del capoluogo. Così pesante e così insistente che sono gli stessi imprenditori a mettersi sull’attenti in caso di un appalto da realizzare nel territorio del clan e a presentarsi ai boss per informarli. In un grosso negozio della zona sono in corso alcuni lavori di pulizia, ma nessuno ha informato il boss Palumbo che viene a conoscenza di questo appalto solo grazie al rapporto del suo sodale Autolitano: «Gli ho detto – racconta Autolitano a Palumbo riferendosi alla conversazione avuta con l’imprenditore che ha iniziato i lavori senza prima passare da lui – ma voi con chi avete parlato, che avete incominciato i lavori, che siete entrati? Voi venite quando siete già con le ruspe là a dirmelo?».
Sembra uno sgarro al vecchio padrino, ma quell’appalto “rubato” ha avuto l’avallo direttamente dal clan dei Serraino: «Onestamente sono venuto – racconta l’imprenditore taglieggiato che non manca di prostrarsi davanti al suo interlocutore – perché lo sapeste, io sono qua è giusto che vi metto a conoscenza. Però il lavoro ce lo hanno passato quelli del bar». Il riferimento è chiaro, a garantire per quei lavori sono i Serraino: «allora se ve lo hanno passato loro – risponde il referente di Palumbo facendo un passo indietro a conferma dei rigidi equilibri spartitori che insistono sulla città – se va qualcuno ora, che hanno iniziato, se ne prende la responsabilità».