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10/07/2025 ore 13.00
Cronaca

Operazione Pratì, i dettagli dell'indagine antidroga dalla Questura di Reggio

In corso la conferenza stampa con il procuratore Lombardo. Cocaina dal Sudamerica alla Locride tra importazione e produzione: 21 arresti
di Silvio Cacciatore

Ore 11.20: Procuratore Lombardo:

«Questa è, a mio modo di vedere, un’operazione che dà una serie di risposte. Dà risposte, intanto, al grande sforzo investigativo che costantemente viene portato avanti, e questo lo si ricava dai riferimenti che avete già sentito, a partire dall’operazione Marea, da cui questa trae origine. Proprio perché, e questo credo sia noto, il lavoro non si interrompe mai. Non si interrompe mai, perché i fenomeni su cui siamo chiamati a lavorare sono fenomeni di tipo permanente».

Ore 11.05: Gianfranco Minissale capo della squadra mobile di Reggio Calabria:

«Stanotte è stata eseguita — su ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Reggio Calabria — una misura richiesta dalla Direzione Distrettuale Antimafia.

La misura ha riguardato 21 soggetti, tutti gravemente indiziati di diversi reati: associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, detenzione di droga, e per alcuni anche di estorsione, maturata sempre nell’ambito degli stupefacenti, attraverso una dinamica di cessione — o meglio, di procacciamento — di clienti da un distributore all’altro.

Le attività sono durate circa tre anni, tra il 2020 e il 2022, e hanno anche in parte risentito delle dinamiche legate alla pandemia, soprattutto per quanto riguarda gli spostamenti dei gruppi associati.

L’attività restituisce un quadro che non rappresenta una novità per la provincia reggina, ovvero quella di un collegamento stabile e privilegiato tra uomini considerati contigui alle famiglie di ’ndrangheta della Locride e personaggi di assoluto livello nel panorama internazionale della movimentazione dello stupefacente, lungo le rotte commerciali tra Colombia e le coste reggine.

L’indagine è stata seguita, non a caso, dalla sezione criminalità organizzata della Squadra Mobile, perché trae spunto da un’attività conclusa dalla stessa Procura Distrettuale: l’operazione Marea, che sicuramente ricorderete, e che riguardava il clan di Mammola.

In quelle indagini erano emersi alcuni tentativi, da parte di figure di primo piano di quel contesto associativo, di organizzare importazioni di ingenti quantitativi di cocaina dalla Colombia e dall’Ecuador verso il porto di Gioia Tauro. Gli scambi poi non si sono concretizzati, però ciò che emerge è che i personaggi che fanno da intermediari o da broker per conto delle famiglie di ’ndrangheta — che hanno la capacità economica e organizzativa per movimentare questi carichi — siano sempre più presenti già sul territorio colombiano.

È ormai un dato costante in tutte le inchieste della DDA di Reggio Calabria, che possiamo considerare una conferma, se non una prova di radicamento dei soggetti calabresi nelle dinamiche associative colombiane.

È vero: da questa parte registriamo solo il “piccolo ritorno” che abbiamo sul territorio calabrese. Però, anche da questo piccolo ritorno, si può intuire come questi soggetti siano ormai capaci di orientare anche le scelte logistiche: quale nave scegliere, quale rotta seguire, quale scalo portuale utilizzare in base ai controlli, quando fare partire il carico.

Tutte situazioni che richiedono un bagaglio di esperienza che questi soggetti hanno maturato nel corso di decenni.

Parliamo infatti di persone già coinvolte in inchieste internazionali dello stesso tipo.
In questo caso, in particolare, sono due le associazioni che si è riusciti a delineare nel dettaglio, distinguendo ruoli e funzioni: i promotori, i finanziatori, e coloro che avevano i contatti diretti con i narcos colombiani.

Questo rimane ancora oggi una peculiarità della ’ndrangheta calabrese: non dico in via esclusiva, ma certamente come interlocutori privilegiati. I calabresi rimangono figure centrali, per la loro “affidabilità” — chiamiamola così — consolidata nel tempo.

Durante le indagini sono stati ricostruiti due tentativi di importazione di cocaina, nell’ordine dei 150-180 chili per volta, poi non andati a buon fine, anche per le difficoltà legate alla pandemia.

Quello che emerge ancora una volta, ed è una conferma, è la disponibilità economica delle famiglie calabresi che si approcciano al mercato sudamericano. Perché? Perché la capacità di affrontare anticipi da centinaia di migliaia di euro, da inviare come acconto, è già di per sé una prova di forza.
Parliamo di cifre che, in percentuale, poi avrebbero fruttato sul mercato italiano tra i 25 e i 30 milioni di euro, in base alla purezza della cocaina.

È una peculiarità evidente, e anche una prassi consolidata: per questi soggetti è del tutto normale discutere di spostare 100.000 o 150.000 euro, con una fluidità organizzativa impressionante.

Anche i metodi di appuntamento sono consigliati da calabresi stabilmente impiantati in Colombia.

Un esempio: nel corso dell’indagine è stato sequestrato un piccolo carico di cocaina spedito con corriere espresso DHL (totalmente estraneo alla vicenda), camuffato in chicchi di caffè. A vederli, sembravano veri chicchi. Ma all’interno c’era cocaina.

Perché usare questo metodo? Perché quando il container non è utilizzabile, per ragioni logistiche o di rischio, si ricorre a spedizioni più semplici, tramite corrieri commerciali. Piccoli carichi, ma maggiore esecuzione e meno rischi. Scendendo nel dettaglio, venivano scelti destinatari fittizi — centri commerciali, luoghi di smistamento — senza che vi fosse mai un destinatario individuabile.

Un’ulteriore associazione è emersa a margine di queste attività: riguarda la gestione della coltivazione diretta di piantagioni di cannabis. Il contesto è lo stesso.
Dei 21 indagati raggiunti dalla misura, diversi appartengono a una stessa famiglia, altamente specializzata nella movimentazione di stupefacenti e nella coltivazione diretta della canapa indiana, per la produzione di marijuana.

Perfettamente attrezzati per stoccaggio, lavorazione e commercializzazione, sia all’ingrosso che al dettaglio. E qui — lasciatemelo dire — le attività ci hanno arricchito culturalmente. Perché gli esecutori agli ordini dei capi e finanziatori hanno dimostrato una competenza tecnica ragguardevole.

Si parla di tipi di semenza: Sky 47, Brooklyn Demos, Differente, selezionati in base al clima, all’esposizione al vento, e alla disponibilità di luce artificiale.

Tutti elementi che la Procura ha valutato con attenzione per dimostrare l’elevato livello professionale dell’organizzazione. La redditività di queste coltivazioni era altissima: alcune richiedevano 8-10 settimane di maturazione, con un investimento di poche centinaia di euro (800-1000 euro), e un ritorno economico tra i 50.000 e i 60.000 euro. Basso rischio, altissima resa.

Anche in questo caso, gli indagati hanno mostrato consapevolezza delle dinamiche criminali locali. Stavano cercando nuovi spazi nel territorio di Gerace e si sono premurati di interloquire con i referenti di ’ndrangheta della zona, per ottenere l’autorizzazione all’operazione commerciale. Stiamo cercando un paio di soggetti che probabilmente non si trovano in Italia, per i quali è stato attivato il Servizio di Cooperazione Internazionale di Polizia, con il progetto AICM, sotto il coordinamento dell’ufficio diretto dal dott. Lombardo. Si stanno muovendo tutti i passi necessari affinché i provvedimenti cautelari possano essere eseguiti anche all’estero.

I dettagli dell’operazione Platì

È scattata alle prime luci dell’alba di oggi l’operazione della Polizia di Stato che ha visto impegnati più di 120 agenti nei territori della provincia reggina di Platì e Siderno, e nelle città di Milano, Spoleto, Pavia e Voghera, dove sono stati tratti in arresto 17 soggetti gravemente indiziati, a diverso titolo, dei reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, coltivazione di piantagioni di canapa indiana, lavorazione e commercializzazione di marijuana e detenzione illegale di armi comuni da sparo. Altri quattro indagati sono ancora irreperibili e, per le eventuali ricerche e catture in campo internazionale, sono stati interessati il progetto ICAN ed il Servizio di Cooperazione Internazionale di Polizia.

L’operazione, denominata Pratì, rappresenta il risultato di una complessa indagine, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, diretta dal Dr. Giuseppe LOMBARDO, che ha riguardato tre differenti associazioni per delinquere finalizzate, le prime due, all’importazione dalla Colombia e dall’Ecuador di ingenti carichi di cocaina occultata all’interno dei containers stipati sulle navi commerciali e, una terza, specializzata nella coltivazione di piante di canapa indiana e nella commercializzazione all’ingrosso e al dettaglio della marijuana ricavata.

L’attività investigativa origina dalla ricostruzione del tentativo di importazione dal Sudamerica di un ingente quantitativo di cocaina finanziata da soggetti mammolesi, allo stato non identificati, e curata da due indagati già destinatari di misura cautelare nell’ambito dell’operazione “Malea”, in quanto ritenuti intranei alla locale di ‘ndrangheta operante in Mammola, rispettivamente con la carica di “Capo Società” e “Mastro di Giornata”.

Infatti, da quelle investigazioni, concluse con misura cautelare nei confronti di 12 soggetti indiziati di appartenere alla cosca SCALI-ABBATE della locale di Mammola, emergevano le figure dei due soggetti, oggi attinti da ulteriore provvedimento cautelare, come perfettamente inserite nella gestione di un traffico internazionale di stupefacenti, uno, in qualità di broker incaricato dei contatti con i narcos colombiani e l’altro quale intermediario tra il broker ed i committenti mammolesi.

Lo sviluppo di quelle indagini ha consentito di individuare tre gruppi perfettamente strutturati, sebbene con alcuni soggetti in comune, operativi nei territori di Platì, Siderno e aree limitrofe.

La droga sarebbe dovuta arrivare a bordo delle navi che percorrono la rotta commerciale dalla Colombia alle coste italiane occultata all’interno dei containers con modalità sempre diverse e finalizzate ad eludere eventuali controlli.

Il trasferimento della droga, tuttavia, pur a fronte di cospicue somme di denaro versate come acconto, non si è poi concretizzato per impedimenti di varia natura emersi nella fase delle trattative.
Non mancavano espedienti alternativi per l’importazione; in un caso, gli investigatori della Squadra Mobile sono riusciti ad intercettare la spedizione di un normalissimo pacco affidato alla società DHL, del tutto estranea ai fatti, al cui interno vi era 1 kg circa di cocaina purissima contenuta in chicchi di caffè.
Il plico, con il coordinamento dell’Ufficio di Procura reggino, è stato poi sottoposto a sequestro presso il centro di smistamento dell’Aeroporto di Ciampino a Roma.

L’organizzazione poteva contare su soggetti calabresi stabilmente dimoranti in Colombia che seguivano tutte le fasi della spedizione, dalle tecniche di occultamento ai documenti di viaggio fino alla individuazione della nave da utilizzare per il trasporto.
Il terzo gruppo investigato si occupava esclusivamente della coltivazione delle piantagioni di canapa indiana e della commercializzazione della marijuana ricavata.
Ruoli e funzioni erano professionalmente ripartiti tra i partecipi del gruppo che hanno evidenziato particolare perizia nella scelta dei terreni da coltivare, nella selezione sei semi da impiantare e nelle modalità di illuminazione de irrigazione delle piante.
Le indagini sono ancora in fase preliminare e, pertanto, tutti gli indagati vanno considerati non colpevoli fino a sentenza definitiva di condanna.