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19/10/2025 ore 06.30
Cultura

Dal bancone della macelleria di Archi ai set cinematografici: l’umanità è l’arte di Marcello Fonte

«Quando non recito faccio il cameriere. Quello che conta per me è l’incontro con la gente. Mi piace ascoltare le persone. Così sono cresciuto e così vivo la vita e il cinema». L’attore reggino al festival di Roma per la proiezione speciale di “Anatomia di un sogno”

di Anna Foti

La narrazione sportiva si conferma voce autentica di un quartiere al centro di grandi trasformazioni sociali quale è il rione San Lorenzo di Roma. La voce è quella della storica polisportiva Atletico San Lorenzo nel documentario diretto da Federico Braconi dal titolo evocativo "Anatomia di un sogno", tra le proiezioni speciali della Festa del Cinema di Roma, in corso fino al prossimo 26 ottobre.

Il documentario sarà proiettato questo pomeriggio alle 15:30 al teatro Olimpico Acea e il prossimo 26 ottobre alle ore 21:30 nella sala 6 dello storico cinema multisala Giulio Cesare. Nel cast interpreta sé stesso l'attore di origini reggino Marcello Fonte che in quel quartiere romano vive ormai da 25 anni, da quando ha lasciato la Calabria e il quartiere di Archi della periferia nord di Reggio, per declinare la sua innata vocazione artistica anche attraverso la recitazione.

La forza del racconto popolare

«Interpreto me stesso. Sono me stesso ed è ciò che più mi rende felice in questo momento della mia vita. Sono un abitante di questo quartiere, un tifoso della squadra di calcio Atletico San Lorenzo, un cittadino comune che partecipa alla vita di questa comunità, alle sue proteste, alle sue manifestazioni. Cammino tra i suoi nasoni e in mezzo ai suoi murales che lo caratterizzano. San Lorenzo si trova vicino all'università La Sapienza e al cimitero monumentale del Verano.

Un microcosmo, come tutti i quartieri, in cui palpita la vita delle persone comuni, dunque la vita vera». Così parla del quartiere dove ormai vive dal 1999 Marcello Fonte, Miglior Attore a Cannes per il pluripremiato "Dogman"di Matteo Garrone nel 2018, interprete di numerosi film. Tra i suoi personaggi anche Ciccio Italia, il poeta del paese di Africo, nel reggino, di cui in proprio questi giorni ricorre il tragico anniversario della terribile alluvione del 1951 rievocata proprio dal film "Aspromonte. La Terra degli ultimi" diretto da un altro reggino, il regista di Polistena, Mimmo Calopresti nel 2020.

Ma al di là dei suoi personaggi, ciò che Marcello Fonte sta assaporando con grande gioia e soddisfazione, in questo momento della sua vita, è proprio l'incontro più autentico con sè stesso e con le persone.

Oltre ogni personaggio

«Il vero successo è aver capito chi sono, essere più che sembrare, essere e sentirmi percepito dalle persone come Marcello, oltre ogni mio personaggio. Tutto ciò mi appaga, oltre ogni riconoscimento, e mi rende davvero felice». E sè stesso è anche nel documentario "Anatomia di un sogno", in prima oggi alla Festa del Cinema di Roma.

Marcello Fonte è una delle voci di un quartiere che si racconta attraverso i suoi abitanti e un sogno sportivo. Un racconto popolare, insomma, di quelli che Marcello Fonte ha nelle sue corde da sempre, da quando suonava (e suona ancora) nella banda del paese il suo tamburo (e adesso anche il Flicornino), da quando con i suoi cinque fratelli e le sue due sorelle cresceva ad Archi con papà Francesco che zappava la terra e sapeva recitare anche se nessuno se n'era mai potuto accorgere e glielo aveva mai potuto dire, e sua madre Giuseppa, alla quale dava i soldi che guadagnava con la banda affinchè gli potesse comprare ciò che gli serviva.

Radici e ali

Marcello Fonte torna spesso a Reggio, dove resta legato alle persone e ai luoghi. Viene a trovare sua madre, i suoi fratelli, le sue sorelle e i suoi nipoti. Papà Francesco, purtroppo, non c'è più. È morto 15 anni fa. Non ci sono anche due suoi fratelli. «Sono in cielo e si fanno sentire anche lì», racconta. A suo figlio di 4 anni ha dato il nome di suo padre Francesco. Lo dice con grande orgoglio mentre ricorda della sua vita in Calabria, dove ha imparato a essere l'uomo che è fiero di essere oggi. «Ho sempre lavorato. Ho fatto il meccanico, ho lavorato nella macelleria di Archi e in tanti supermercati. Mi è sempre piaciuto parlare con la gente, stare in mezzo alla gente. Da quello che mangiano si capisce molto delle persone. Ero a mio agio come lo sono facendo cinema. Dal bancone della macelleria di Archi al palcoscenico di Roma per me il passo è stato breve e naturale. Oggi amo recitare come chi ama cucinare ed è felice mentre prepara qualcosa e mentre gli altri gustano quello che ha preparato».

La musica e la recitazione

Nella vita di Marcello Fonte la recitazione è arrivata dopo la musica che però è rimasta e rimarrà. La sua è una famiglia dove la vena artistica era di casa, dove i talenti sono stati e sono tanti. «Mio padre era un attore senza saperlo. A lui mi ispiro. I miei familiari non sono da meno. Un fratello disegna case, fa l'architetto e anche lui vive a Roma. Una sorella realizza bambole, mia cognata ricama all'uncinetto. D'altronde Archi è un quartiere dove si respira arte. Serve che qualcuno le dia spazio e voce».

Archi: le luci più forti delle ombre

Nato a Melito Porto Salvo, Marcello Fonte è cresciuto in questo difficile quartiere periferico di Reggio. Ne conosce i tormenti ma sceglie ostinatamente di narrare i punti luce più che quelli in ombra. Ne conosce i ragazzi di un tempo che oggi sono uomini e padri che per i loro figli vogliono un futuro migliore. «Voglio incoraggiare, non scoraggiare. Voglio costruire non distruggere. Archi – dice - è un quartiere che ama e dove sono stato e mi sento ancora oggi amato. Un quartiere dove l'arte esiste. E l'arte salva.

È un quartiere che cambia – racconta ancora – e che vuole cambiare. Io ho ascoltato le speranze espresse per i suoi figli. Un quartiere che accoglie. Lo hanno sperimentato tutti coloro che hanno lavorato, insieme agli abitanti del quartiere, quando dieci anni fa girammo lì il film "Asino vola" diretto con Paolo Tripodi e scritto con Giuliano Miniati, ragazzi che ho conosciuto proprio qui a San Lorenzo a Roma.

Grazie a questa esperienza con loro, Archi divenne Cinecittà e non c'era ragione perchè ciò non dovesse accadere come non c'è ragione per la quale ciò non debba accadere ancora lì e in Calabria. Ho tante storie nel cassetto».

Reggio sempre nel cuore

La Calabria e il suo quartiere di origine sono, dunque, anime profonde della poetica cinematografica di Marcello Fonte che tornerà presto in Calabria, per venire a trovare sua madre innanzitutto. Tornerà in Calabria, dove è stato di recente, su invito del Tropea festival ma sempre «con Reggio, e con quanto in questa città si fa nella direzione di creare valore e futuro, nel cuore».

Come la recitazione, nella vita di Marcello Fonte importante è da sempre il contatto con le persone. «Quando non recito mi piace fare il cameriere. Pensate a un barista - racconta - a quanto è importante l'incontro con lui, ogni giorno, mentre i tanti pensieri scandiscono la giornata. Mi piace parlare, entrare in relazione, ascoltare. Così vivo la vita e così vivo il cinema. La passione per le persone è nata ad Archi e poi l'ho portata con me a Roma e dentro il mio lavoro».

La vita e tutti i sentimenti

Marcello si è fatto apprezzare in ruoli drammatici e in ruoli comici. Del resto il cinema racconta la vita, la felicità e il dolore che essa racchiude in sè e che un attore deve saper interpretare. «Tutti sentimenti sono importanti. A me piacciono tutti. Mi viene in mente la metafora dell'acqua e del vino. Mi piace l'acqua e la preferisco. Si vorrebbe essere sempre felici e tuttavia anche la tristezza va tenuta accanto, come quel bicchiere di vino che piace bere ogni tanto. Penso a questo momento storico, alla capacità che ha dimostrato l'uomo di fare del male, di essere pericoloso addirittura per i bambini. Figli che non hanno più nulla.

Penso all'indifferenza che ci circonda e all'impotenza in cui siamo immersi se pochi uomini possono decidere il destino del mondo senza che il popolo abbia voce in capitolo. La delusione che provo è immensa. Ma questa tristezza serve - dice Marcello Fonte - per capire cosa non possiamo continuare a essere e dunque me la tengo stretta».