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27/09/2025 ore 22.00
Cultura

L'INTERVISTA | Raphael Gualazzi si racconta: vent’anni di musica tra swing, sogni e contaminazioni senza confini - VIDEO

Dal debutto nello scenario unico dello Stretto al dialogo con l’orchestra Bruzia, il cantautore svela la sua anima libera e annuncia nuove sfide creative tra cinema e colonne sonore, passando per il Reggio Live Fest
di Silvio Cacciatore

Il fascino dello Stretto, il mito di Scilla, l’abbraccio del pubblico reggino. L’arrivo di Raphael Gualazzi al Reggio Live Fest ha avuto il sapore delle prime volte che restano impresse. Sul truck del Network LaC, il cantautore e musicista marchigiano si è raccontato con disarmante sincerità, tra ricordi, contaminazioni musicali, visioni future e un entusiasmo che non si lascia imbrigliare dalle etichette.

«L’effetto quasi surreale di questo contesto mi ha colpito. Lo Stretto è una cornice naturale affascinante, stamattina sono stato anche a Scilla ed è stato meraviglioso» ha detto Gualazzi, che con naturalezza ha aperto la conversazione spiegando come il rapporto diretto con la gente rimanga il vero motore della sua arte. «La cosa più importante è vivere la musica sul campo. Io prediligo il contatto con il pubblico».

La serata reggina, arricchita dalla presenza dell’orchestra Bruzia e dal maestro Stefano Nanni, con ospiti del calibro di Danilo Rossi e il trio jazz con Gianluca Nanni e Andreas Ulrich, si è trasformata in un viaggio musicale attraverso vent’anni di composizioni. Un percorso che unisce swing e melodia italiana, contaminazioni afroamericane e respiro sinfonico. Una vera “astronave musicale”, come la definisce lo stesso artista, capace di trasportare chi ascolta in una dimensione sospesa tra tradizione e innovazione.

Il racconto di Gualazzi riparte sempre dalle origini. Figlio d’arte – il padre batterista rock negli anni Sessanta – ha respirato musica fin da bambino. Eppure il canto è arrivato quasi per caso, un consiglio paterno accolto con scetticismo e trasformato in destino. «Io ho iniziato come musicista, volevo mettere davanti la musica. Poi c’è stata una scintilla, anche grazie a mio padre. Diceva che se avessi cantato, magari avrei viaggiato di più. Mi suggeriva anche di provare brani più lenti o canzoni in italiano. Alla fine aveva ragione».

Quella duttilità, quel non sentirsi mai incasellato hanno guidato la sua cifra stilistica. Tra jazz, blues, swing, contaminazioni classiche e aperture pop, Gualazzi ha costruito un’identità sempre mobile, mai definita una volta per tutte. Una scelta che è anche un atto di libertà.

Nel suo racconto emerge la curiosità inesauribile che lo porta a confrontarsi con mondi diversi. Collaborazioni costanti, aperture a nuove esperienze, immersioni persino nelle contraddizioni. «Non si può escludere un’esperienza senza averla provata. Mi ha sempre affascinato la frase di Carmelo Bene che parlava della necessità di gettarsi nella contraddizione. Siamo già catalogati alla nascita: nome, cognome, aspettative. Per ritrovare autenticità bisogna sporcarsi le mani, mettere le mani nel fango».

Da questa tensione nasce il suo progetto più recente, “Dreams”, un lavoro dedicato al sogno come forma di trascendenza, come possibilità di ritrovare armonia con il proprio spirito. Un viaggio intimo e universale, coerente con la sua idea di musica come spazio senza confini.

Il grande pubblico ha imparato a conoscerlo grazie a Sanremo 2011, quando vinse la sezione Giovani con “Follia d’amore” e conquistò un posto nella storia della musica italiana riportando l’Italia all’Eurovision dopo 14 anni di assenza, arrivando secondo. Un risultato che smentì i pronostici e consacrò il suo stile fuori dagli schemi. «È stato bellissimo portare un brano che univa swing e melodia italiana. È nato tutto da tre note sentite per caso, Sol-La-Si bemolle, quando avevo lasciato le luci dell’auto accese. Quelle note hanno acceso l’ispirazione e da lì è nata la canzone».

Un aneddoto che racconta bene il suo approccio creativo: la capacità di trasformare la quotidianità in materia viva di composizione.

Lo sguardo è già proiettato in avanti, verso nuove contaminazioni con il mondo del cinema e dell’animazione. Gualazzi ha avviato una collaborazione con CAM, etichetta di Sugar dedicata alle colonne sonore, con l’obiettivo di valorizzare il repertorio di grandi compositori come Trovaioli, Morricone, Rota, Umiliani, Nora Orlandi. «L’immagine e l’animazione hanno sempre destato in me una forte ispirazione. Già uno dei primi brani del mio disco d’esordio, “A French Cartoon”, nacque immaginando un cortometraggio animato».

La musica, dunque, non solo da ascoltare, ma anche da vedere, da vivere come esperienza multisensoriale. Una direzione che conferma la sua curiosità e la volontà di esplorare dimensioni nuove, senza mai chiudersi in un ruolo.

La sua prima volta a Reggio Calabria non poteva che essere segnata da entusiasmo reciproco. Da una parte la città che lo accoglie nel cuore delle festività mariane, dall’altra un artista che restituisce emozione e bellezza. Il Reggio Live Fest, con il suo mix di grandi nomi e radici popolari, ha trovato in Gualazzi un interprete perfetto: un musicista capace di attraversare i generi, un cantautore che rifiuta l’etichetta, un uomo che considera il contatto diretto col pubblico l’unico vero traguardo.

«Viva il lupo» ha scherzato al termine dell’intervista sul truck LaC. Un saluto semplice, ma che racchiude il suo stile: ironico, spontaneo, autentico. Come la sua musica, che continua a non chiedere permesso, a non farsi imbrigliare, a viaggiare libera tra sogno e realtà.