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01/05/2025 ore 14.31
Economia e lavoro

Lavoro e questione meridionale: se il Primo Maggio diventa una denuncia sociale che lo Stato non può più ignorare

Tra sicurezza negata, precarietà strutturale e fuga dei giovani, la festa dei lavoratori nel Mezzogiorno resta una ferita aperta. E il pensiero di Pasquino Crupi, a dodici anni dalla scomparsa, parla ancora al cuore del Paese
di Silvio Cacciatore

Il lavoro non dovrebbe mai uccidere. E invece, nel Mezzogiorno, troppo spesso lo fa. Muore chi lavora in nero, chi lavora senza sicurezza, chi lavora senza diritti. In questa realtà amara, il Primo Maggio suona come un appello che non può più essere ignorato. È la festa dei lavoratori, ma per molti è un giorno di assenza: di lavoro, di tutele, di giustizia.

Tra i pensatori che più hanno saputo leggere il destino del Sud in controluce rispetto alla narrazione nazionale, Pasquino Crupi aveva tracciato una strada lucida e radicale. Una strada che oggi, a distanza di quasi dodici anni dalla sua scomparsa, resta terribilmente attuale.

Il Sud continua a pagare il prezzo più alto, in termini di emigrazione giovanile, lavoro precario, salari bassi, assenza di infrastrutture e giustizia lenta. E in molti casi, continua ad essere raccontato come un problema, piuttosto che riconosciuto come parte essenziale del Paese.

Il pensiero meridionalista di Crupi – mai chiuso nella nostalgia – individuava nella diseguaglianza strutturale del lavoro uno degli assi centrali della questione meridionale. Non si trattava solo di analisi economica: per Pasquino Crupi, il lavoro era strumento di riscatto umano, collettivo, politico. Oggi, invece, torna ad essere una trappola di solitudini e sfruttamento.

L’autonomia differenziata, già di fatto presente, amplifica questa frattura. I tempi della giustizia, le liste d’attesa sanitarie, i trasporti, l’accesso ai servizi: tutto è più lento, più fragile, più costoso al Sud. Non per incapacità locale, ma per assenza di volontà politica nazionale.

In questo scenario, la voce di Pasquino Crupi si staglia ancora come monito: denunciare gli squilibri non significa giustificare i ritardi, ma chiedere allo Stato di guardare il Mezzogiorno con gli stessi occhi con cui guarda Milano o Torino. Non bastano più fondi straordinari o decreti d’urgenza, serve un rovesciamento del paradigma, un cambio di rotta che restituisca centralità a chi oggi è ai margini.

Le parole pronunciate pochi giorni fa dalla segretaria generale della CISL, Daniela Fumarola, durante il congresso metropolitano tenutosi proprio a Reggio Calabria, si muovono nella stessa direzione indicata da Pasquino Crupi quando chiedeva di guardare al Sud non come a un’emergenza, ma come a una responsabilità nazionale. «Non potremo mai concludere il nostro impegno finché continuerà a morire qualcuno sul lavoro» ha detto, ricordando che il Mezzogiorno è la frontiera più esposta alla violazione sistematica dei diritti. La sicurezza, per la CISL, non è un tema tecnico, ma una linea invalicabile: servono più ispettori, più tutele, più cultura della prevenzione. Ma serve soprattutto la volontà politica di spezzare la catena che lega povertà, ricatto e morte.

Daniela Fumarola da Reggio ha parlato anche di lavoro vero, stabile, contrattualizzato, rifiutando la logica delle soluzioni tampone e degli annunci. «Abbiamo risorse importanti da spendere. E se c’è un posto dove vanno spese bene, è proprio qui», ha affermato indicando il Sud non come un bacino di assistenza, ma come una riserva di competenze, energie e territori da valorizzare. Esattamente ciò che Pasquino Crupi denunciava: l’assenza di una politica industriale, di una strategia coerente, di una regia pubblica che trasformi i fondi europei in futuro. Se oggi il Sud è costretto a celebrare un Primo Maggio più amaro degli altri, è perché quella visione continua a mancare.

Il Primo Maggio, in questa luce, non può ridursi a una ritualità stanca. È un giorno politico. Un giorno che, nel solco tracciato dal meridionalista di Bova Marina, ci obbliga a porci domande scomode. Perché si continua a morire sul lavoro? Perché un giovane calabrese deve emigrare per sopravvivere? Perché chi resta si sente spesso dimenticato?

Il Sud non chiede più concessioni, chiede giustizia e pari dignità. E chiede che chi ha pensato, scritto, lottato per questo riscatto non venga dimenticato. Il pensiero di Pasquino Crupi non appartiene alla memoria, ma a un’urgenza che riguarda il presente dei diritti sociali dei lavoratori.

Nel Mezzogiorno, in Calabria, il Primo Maggio è tutto questo: memoria, rabbia, visione. E finché resteranno più domande che risposte, la voce di Pasquino – come quella dei lavoratori che non hanno mai smesso di chiedere diritti – non potrà e non dovrà spegnersi.