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17/11/2025 ore 10.00
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Maria Rita Parsi: «Armiamo i cervelli, non gli eserciti. La cultura è l’antidoto alla violenza sulle donne»

Durante l’evento “Mai più sola” a Reggio Calabria, la psicologa, pedagogista e psicoterapeuta Maria Rita Parsi ha offerto un intervento lucido, duro e necessario su quella che ormai è una vera emergenza. Con un linguaggio diretto e senza sconti, ha richiamato l’attenzione sulla radice culturale del fenomeno, sulla responsabilità collettiva e sul ruolo imprescindibile dell’educazione

di Elisa Barresi

Autorevole, appassionata, frontalmente sincera. Così Maria Rita Parsi ha attraversato il palco di “Mai più sola”, mettendo in asse neuroscienze, psicologia dello sviluppo, esperienza clinica e un’urgenza educativa che non ammette più ritardi.
Fin dall’inizio ha denunciato il paradosso culturale che ancora oggi svaluta la psicologia:
«Tra l’altro, come le donne, anche questa scienza è disprezzata. Vogliono lo psicologo ma lo vogliono come fosse smalto: di solito chi va dallo psicologo è considerato “matto”. È ora di finirla, perché la psicologia è la scienza della comunicazione e del comportamento. Chi vuole imparare a comunicare e a comportarsi deve capire come ci si comporta umanamente… Perché noi siamo un laboratorio neuro-biochimico che produce anima, punto».


Il potere originario del femminile


Parsi ha insistito sul ruolo fondativo del corpo femminile nella costruzione dell’umanità:
«Le donne danno vita alle forme della vita… Il corpo delle donne, mese dopo mese, plasma tutti gli esseri umani. Se vogliamo popolare il mondo, il potere ce l’ha una donna. Questo è un potere sacrale, primario, originario e non può essere messo da parte».
Richiamando gli insegnamenti di Giovanni Bollea, la psicoterapeuta ha ricostruito le tre fasi iniziali della vita — simbiosi, diade, triade — per mostrare quanto la dipendenza originaria dal femminile incida profondamente sulle dinamiche affettive e sulle future relazioni:
«La prima fase è due in uno. Tutto l’imprinting neuro-biotech del vissuto materno passa alle creature che porta in grembo. E quando si viene al mondo, il primo distacco, il più forte, ha sempre dato la colpa a Eva: “è quella che ci butta fuori dal paradiso terrestre”».


Rabbie, desideri, fragilità che si trasformano in violenza


La psicoterapeuta invita a prendere coscienza dell’intreccio primario tra corpo maschile e corpo femminile: «La prima dipendenza totale è dal femminile… Pensate quante rabbie, fastidi, bisogni sono legati al corpo della madre. I maschi hanno il corpo delle donne in mente perché quel corpo è il corpo dell’origine. È ora di finirla: più non trattiamo le donne come meritano, peggio stiamo».
Portando la sua esperienza nelle zone di guerra, ricorda come l’odio per la vita – e dunque per il femminile – sia radice profonda di ogni violenza: «Durante la guerra dei Balcani vedevo donne e bambini devastati. È notizia di questi giorni che c’è gente che paga per fare i cecchini sparando a donne e bambini come “caccia turistica”. Quando c’è un odio così forte verso la vita bisogna capire perché».


Cultura, scuola, responsabilità: l’unico antidoto


Parsi punta il dito contro un modello educativo fallimentare, ricordando che «la prima agenzia educativa è la famiglia» e che la scuola deve essere «una roccaforte». Invoca un investimento culturale radicale: «Dalla mattina alla sera, con un’équipe antropo-psico-socio-pedagogica, con ottimi insegnanti pagati decentemente, facendo laboratori creativi… Cultura è tutto, è uno strumento per combattere. Non si devono armare gli eserciti, si devono armare i cervelli».


Uomini, donne e la responsabilità condivisa


Pur esprimendo «massimo rispetto per gli uomini», Parsi non nasconde la verità: «Molti uomini non rispettano le donne. E non sono felici quelli che le maltrattano: sono disperati, già morti nel cuore».
Poi un richiamo preciso alle donne: «Le donne non devono essere nemiche delle donne. Chi ha superiorità deve capire quale superiorità. I figli sono figli della madre, e tante volte gli uomini che fanno male sono il braccio armato della vendetta materna o dell’odio incamerato da donne che non si sono ribellate».


“È ora di cominciare”


Il suo intervento si chiude con un appello alla responsabilità collettiva e alla costruzione di un futuro diverso, non retorico ma possibile: «Che le donne si prendano le loro responsabilità, che la piantino con queste buffonate, che comincino a fare cultura. Gli uomini che amano le donne e le donne che li amano… il mondo… la guerra… sì, lo so, sono una sessantottina, peace and love, sì, lo sono».
Un messaggio forte, netto: la violenza contro le donne non si combatte solo con leggi e protezioni, ma ripensando radicalmente l’educazione, il rispetto e il modo in cui la società guarda al femminile. Una battaglia culturale che non può più aspettare.