Condofuri, Latella e Rodà aprono la crisi politica: «Anarchia assoluta e zero visione. Se non si cambia lasceremo la maggioranza» - VIDEO
A due anni dall’insediamento dell’amministrazione comunale a guida Filippo Paino, che ha vinto la tornata elettorale con una larghissima maggioranza, a Condofuri si consuma una frattura politica profonda. A formalizzarla sono l’assessore Daniele Latella e il consigliere comunale Pasquale Rodà, che in una lunga intervista denunciano l’esistenza di un blocco istituzionale interno alla maggioranza, acuito da scelte rinviate, deleghe mai assegnate, tensioni mai risolte e da una gestione, definita da entrambi, accentrata, opaca, sostanzialmente inefficace.
Latella lo dice senza mediazioni: «A Condofuri vige l’anarchia assoluta». Una frase che segna il punto di non ritorno e che fotografa il progressivo logoramento di un progetto politico nato come esperimento di coalizione ampia e finito, nel racconto dei due esponenti, in un equilibrio perenne tra inerzia amministrativa e conflitto permanente. Nessun passo indietro, al momento, ma una nuova fase che si apre esplicitamente con l’annuncio di un gruppo consiliare autonomo, un programma alternativo da sottoporre al sindaco e una linea: se non verrà condiviso, sarà uscita dalla maggioranza.
Ritardi strutturali e scelte mancate
Il punto di partenza, per Latella, è la condizione in cui l’amministrazione si è insediata nel 2023. «Il responsabile dell’area finanziaria si era dimesso pochi giorni prima, l’ufficio tecnico era allo sbando, l’area amministrativa completamente scoperta», ricostruisce. Una situazione definita emergenziale, che avrebbe imposto risposte rapide, e che invece si è trasformata in una gestione ordinaria costruita sull’interim, sull’assenza di responsabilità chiare, su un’impostazione che, a distanza di due anni, ha prodotto – secondo Latella – ritardi su tutti i fronti. «Non siamo riusciti a cambiare né passo, né rotta», ammette.
Il problema, precisa, non è tecnico ma politico: «Mantenere un assetto di questo tipo è stata una scelta, non una necessità». E il risultato è che la macchina amministrativa continua a lavorare in condizioni minime, senza alcuna possibilità di pianificazione strutturata, senza un’agenda visibile, senza un’idea operativa complessiva. «Si vive alla giornata», dice. «E Condofuri, con i suoi ritardi cronici, non può permetterselo».
Rodà, che sottolinea di aver contribuito in modo continuativo all’attività istituzionale pur senza mai aver ricevuto una delega formale, conferma che la gestione politica si è progressivamente chiusa su se stessa, fino a ridurre ogni confronto a una dialettica sterile o rimandata. «Proposte ne sono state presentate, condivise, in alcuni casi annunciate. Ma poi tutto si ferma», osserva.
A suo giudizio, il problema non è solo interno alla giunta, ma riguarda anche la mancata apertura verso la cittadinanza, con un dialogo pubblico mai realmente costruito e una comunicazione istituzionale che ha rinunciato del tutto a rendere conto del lavoro svolto e delle scelte non compiute. L’immagine che ne esce è quella di un’amministrazione immobile, che rinvia ogni decisione e che – pur in presenza di soluzioni tecniche praticabili – continua a operare in una logica emergenziale che ha finito per bloccare ogni iniziativa.
Il gruppo che non è mai diventato squadra
Il punto di rottura, nel racconto di Latella, non è solo il frutto di una progressiva disillusione amministrativa, ma di una composizione politica iniziale fragile già nella fase costitutiva. La scelta di aggregare forze politiche eterogenee, afferma, è stata accettata da tutti come una scommessa: al tavolo della coalizione convivevano sin dall’inizio aree riferibili al centrodestra, espressioni civiche e posizioni vicine alla sinistra radicale.
Una pluralità che, secondo Latella, avrebbe potuto rappresentare una ricchezza politica, se gestita con un metodo e una direzione, ma che invece si è tradotta in una somma di individualità scollegate, in un’assenza di sintesi, in una mancanza sistematica di condivisione sulle linee generali di governo. «Sapevamo che era una composizione fragile», dice, «ma non mi aspettavo che i problemi maggiori sarebbero arrivati non dalle opposizioni, ma dagli alleati di maggioranza».
Le parole si fanno più dure quando Latella parla di un clima segnato da attacchi personali, da “dicerie”, da tentativi – secondo lui deliberati – di minare l’affidabilità e la legittimità politica dei componenti più attivi. «È un’ostilità che non ha più nulla di politico», afferma. «Ed è proprio questo che ha fatto deragliare l’intera maggioranza».
Rodà, dal canto suo, riassume con una formula altrettanto chiara: «In maggioranza siamo tutti avversari politici». È una definizione che chiude definitivamente la narrazione di una coalizione ampia e coesa, e che apre la strada a un quadro segnato da logiche di resistenza interna, da boicottaggi silenziosi e da uno scollamento profondo rispetto agli obiettivi di mandato. Il punto, chiarisce, non è l’esistenza di sensibilità diverse, ma l’impossibilità di costruire percorsi comuni. «Ogni volta che si prova a lavorare su un’idea, emerge qualcuno che lavora per bloccarla», osserva. «Sono tecniche vecchie di quarant’anni, ma ancora vive. E io, con questo metodo, non ho nulla a che fare».
La questione delle deleghe
Se la frattura ha avuto un momento iniziale, per entrambi, coincide con la gestione delle deleghe e con l’impianto politico costruito attorno alla giunta. Latella, primo degli eletti, ricorda di aver rinunciato volontariamente alla carica di vicesindaco per rispettare un equilibrio interno che prevedeva, tra le altre cose, una parità di genere all’interno dell’esecutivo. In cambio, spiega, gli era stata riconosciuta la possibilità di scegliere per primo le deleghe operative, e tra queste aveva indicato – tra le altre – quella alla manutenzione, considerata fondamentale per affrontare questioni strutturali rimaste irrisolte da anni.
La delega, però, non è stata successivamente assegnata ad altri. «È stato il primo segnale che qualcosa non funzionava», afferma. «Avevamo un accordo, ma è stato disatteso. E non per ragioni oggettive, ma per logiche di spartizione». Un metodo che definisce «opaco e politicamente arbitrario».
Rodà racconta una dinamica simile, seppure con toni diversi. Ricorda che, pur non avendo mai ricevuto formalmente alcuna delega, ha lavorato su spettacolo, digitalizzazione ed eventi, contribuendo – di fatto – alla gestione di ambiti rilevanti. Ma il punto non è la collaborazione di fatto, bensì il mancato riconoscimento formale. «Il sindaco mi aveva assicurato che la delega sarebbe arrivata, ma non è mai successo», dice. «E non mi basta essere consultato. La delega è un atto politico. Senza, manca la responsabilità, manca la titolarità, manca la visione». Quando gli viene chiesto perché il conferimento non sia mai avvenuto, la risposta è secca: «Perché una parte politica non lo avrebbe accettato. E il sindaco, su questo, ha preferito non decidere».
L’assenza di una distribuzione chiara delle responsabilità è, secondo entrambi, uno degli elementi più gravi della fase amministrativa in corso. Latella parla apertamente di “confusione funzionale”, spiega che oggi nessun assessore è realmente in grado di indicare con precisione quali siano le deleghe effettivamente esercitate e quali gli obiettivi assegnati, e accusa il sindaco di mantenere un controllo diretto su ogni ambito senza condividerne metodo e prospettiva. «Un assessore deve godere della fiducia del sindaco», afferma. «Ma se la fiducia viene meno, è il sindaco a dover prendere provvedimenti. Non l’assessore. Io non ho mai pensato di dimettermi. Se qualcuno non ha più fiducia in me, lo dica apertamente».
L’accentramento del potere
A rendere insanabile il dissenso non è soltanto la gestione degli incarichi, ma il metodo politico complessivo adottato dal sindaco. Latella parla esplicitamente di un problema di accentramento del potere, di una catena di comando verticale che, nella pratica quotidiana, avrebbe esautorato gli assessori da ogni possibilità decisionale autonoma.
«Il sindaco ha una visione distorta della fiducia», afferma. «Controlla ogni passaggio, interviene su ogni delega, condiziona ogni atto. È un’impostazione che ha trasformato la giunta in un organo privo di margine». Il punto, secondo Latella, non è solo la mancanza di deleghe chiare, ma l’incapacità di costruire un percorso condiviso, in cui le competenze siano riconosciute e le decisioni derivino da un confronto interno, non da imposizioni unilaterali. A questo si aggiunge una gestione degli atti definita caotica e poco trasparente: «Ci sono provvedimenti importanti pronti da mesi, e ancora chiusi in un cassetto. Anche quando esistono soluzioni, si preferisce rimandare».
Rodà definisce questa dinamica con una formula diretta: «Divide et impera». Parla di una maggioranza frammentata per scelta, dove ogni consigliere è isolato dagli altri e dove il dissenso, anziché essere raccolto, viene neutralizzato con il rinvio o con l’inerzia. «Ogni settore è diventato un campo minato. Cultura si confonde con spettacolo, teatro con promozione turistica, sport con attività sociali. Nessuno sa dove comincia il proprio ambito e dove finisce quello degli altri».
L’effetto è un sistema che non produce risultati e che, anche nei rari casi in cui lo fa, non li valorizza. «A Condofuri è possibile risolvere una questione che si trascina da settant’anni, e poi vederla tornare nel cassetto il giorno dopo».
I dossier fermi
L’elenco dei provvedimenti rimasti fermi, secondo i due amministratori, è lungo. Latella cita il caso dei suoli del ‘51 una questione urbanistica aperta da decenni e per la quale sarebbe stata trovata una soluzione, poi mai approvata formalmente. Parla della gestione delle aree demaniali, del boschetto, delle contrade, della necessità – più volte sollevata – di revocare le concessioni a chi non ha mai investito sul territorio nonostante l’assegnazione.
«Ci sono imprenditori che hanno progetti pronti, pareri acquisiti, risorse disponibili. Ma vengono bloccati da ordinanze vecchie, da silenzi amministrativi, da scelte mai formalizzate». La critica, in questo caso, è ancora più esplicita: «Il danno non è solo politico. È un danno economico diretto al paese. Chi vuole investire a Condofuri si trova davanti una porta chiusa. E spesso, chiude anche la sua».
Rodà aggiunge un altro tassello, quello ambientale. Parla della questione dei rifiuti, delle aree trasformate in discariche abusive, delle telecamere promesse e mai installate, bloccate – afferma – per l’assenza di cinque semplici schede telefoniche. «L’ho detto in giunta, l’ho scritto, l’ho ripetuto. Nessuno ha mai dato una risposta concreta».
Sottolinea il paradosso di una situazione in cui l’amministrazione si dice sensibile ai temi ambientali ma non riesce ad attivare strumenti di controllo minimi, mentre gli episodi di scarico abusivo continuano ad aumentare. «Il nostro territorio viene trattato come terra di nessuno. E quando proviamo a intervenire, la risposta è sempre la stessa: se ne parla più avanti».
Secondo entrambi, la crisi non nasce dalla mancanza di strumenti, ma dal fatto che i risultati ottenuti non vengono riconosciuti e che le decisioni vengono sistematicamente rimandate. «Anche quando il lavoro è stato fatto – e fatto bene – non viene messo a valore», dice Latella, citando l’aumento della raccolta differenziata dal 20% al 60% in meno di sette mesi. «Non è un problema di metodo o di merito. È un problema di volontà. Se il sindaco ha fiducia in noi, deve darci la possibilità di lavorare. Altrimenti, deve dirlo chiaramente».
Verso un nuovo gruppo politico
La conclusione, per entrambi, non è un atto di rottura, ma un passaggio politico ormai necessario. Latella lo definisce «una nuova fase», costruita attorno alla nascita di un gruppo consiliare autonomo che, nelle intenzioni, non si propone come strappo ma come tentativo di ridefinire l’azione amministrativa su basi trasparenti, strutturate e verificabili. «Non siamo qui per creare problemi», precisa, «ma per proporre soluzioni. Presenteremo un programma concreto, articolato per punti e con tempistiche di attuazione. Se verrà condiviso, faremo la nostra parte come gruppo di maggioranza. In caso contrario, usciremo formalmente dalla maggioranza e agiremo di conseguenza».
Rodà conferma la direzione politica. Parla della necessità di costruire uno spazio istituzionale in cui sia possibile lavorare in modo coerente con il mandato ricevuto, al di fuori di logiche di silenzio o di compromesso. Sottolinea che non si tratta di un’iniziativa personale, ma di un percorso condiviso da altri consiglieri con cui sono già in corso interlocuzioni avanzate. «Non è una manovra contro qualcuno», ribadisce. «Ma una presa di posizione per qualcosa. Per Condofuri, per il rispetto degli impegni presi, per una gestione che torni a essere politica nel senso pieno del termine». L’obiettivo, spiegano, è quello di riportare l’iniziativa dentro le sedi istituzionali, con un documento che, una volta formalizzato, sarà presentato in Consiglio comunale e reso pubblico. «Siamo pronti a discutere, ma non più a subire», chiude Latella.
La scelta obbligata
La linea è tracciata. Il dissenso, dopo mesi di discussione interna e confronto diretto con il sindaco, diventa oggi una posizione politica formale, espressa con parole chiare, contenuti definiti e obiettivi dichiarati. Nessun ultimatum, ma una condizione precisa: o si apre una fase nuova, oppure la maggioranza non esiste più. È un messaggio che non riguarda solo gli equilibri interni, ma il futuro stesso dell’amministrazione. «Il tempo dei rinvii è finito», afferma Rodà. «Chi ha il mal di testa, il mal di pancia o il mal di lingua, si assuma le sue responsabilità. Noi l’abbiamo già fatto».
Dietro le parole, c’è un passaggio politico evidente: il progetto con cui l’amministrazione si è presentata nel 2023 non esiste più nella forma iniziale, e se vuole continuare a esistere deve necessariamente ripartire da una nuova base politica, da una ridefinizione dei rapporti interni e da una riconfigurazione degli spazi decisionali. «Non si tratta di salvare l’equilibrio di una giunta», dice Latella. «Si tratta di capire se questa amministrazione intende ancora governare o no». A Condofuri, la crisi non è più una questione di voci o di corridoi. È aperta, esplicita, documentata. E da oggi, formalmente dichiarata.