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22/12/2025 ore 17.01
Politica

“È facile parlare”, i giovani di Reggio prendono la parola: rabbia, sogni e futuro possibile

Dal talk di Onda Orange emerge una generazione che chiede ascolto, spazi e fiducia per trasformare partenze forzate in nuove possibilità di ritorno

di Redazione

Le voci dei giovani reggini al centro del talk «È facile parlare», andato in scena sabato 20 dicembre presso la sede di Onda Orange in via Crisafi 22 a Reggio Calabria. Un momento di confronto dal titolo «È facile parlare – diamo voce a una generazione che vuole contare», capace di aprire uno spazio autentico di dialogo tra esperienze, visioni e ferite generazionali.

Generazioni diverse, storie e punti di vista che raramente trovano lo spazio per incontrarsi. Un mosaico umano che ha restituito l’immagine di una Reggio complessa e viva, attraversata però da contraddizioni profonde. Una città raccontata attraverso storie di partenze e ritorni, desiderati o mancati, di giovani che sognano di restare o di tornare ma che si scontrano con una realtà economica povera di opportunità. La mancanza di un’offerta privata solida e strutturata rende spesso impossibile trasformare il desiderio in scelta concreta, costringendo molti a cercare altrove il proprio futuro.

Nel dibattito emerge con forza anche il ruolo dell’informazione. Sul territorio esistono realtà attive, servizi e progetti che però non riescono a essere conosciuti o a comunicare in modo efficace ciò che offrono. Ne deriva l’immagine di una città che da un lato prova ad accogliere e dall’altro respinge. Un equilibrio fragile, segnato da una mentalità chiusa, poco incline alla cooperazione e alla collaborazione, capace di generare barriere invisibili ma potentissime.

Tra gli interventi più incisivi, quello di Kento, che ha affrontato senza filtri lo scontro generazionale. Una nuova generazione arrabbiata, «incazzata», e con pieno diritto di esserlo, consapevole che saranno proprio i giovani a pagare il prezzo delle scelte sbagliate, dei ritardi accumulati e di un sistema che spesso non ha saputo guardare lontano.

Dal confronto sono emerse anche proposte concrete e visioni possibili: palchi aperti per l’espressione artistica, studi di registrazione di quartiere, spazi di coworking accessibili, luoghi in cui creare, incontrarsi, lavorare insieme. Idee che raccontano una città che potrebbe diventare laboratorio permanente, se solo decidesse di investire davvero sulle proprie energie più giovani.

Numerosi i giovani che hanno preso la parola. Giuseppe ha ricordato come amare Reggio e sentirsi reggini sia qualcosa che i ragazzi portano nel cuore con orgoglio, ma che si scontra con la scarsa offerta lavorativa, soprattutto nei settori digitali, ormai quasi monopolio del Nord. Un territorio che continua a pagare l’incapacità di cogliere le potenzialità di questi ambiti, alimentando lo stigma dei “fuggiaschi”, quando spesso si tratta di impossibilità di restare.

Mario ha evidenziato il gap profondo tra le nuove opportunità offerte dal digitale e il mondo della formazione universitaria. Giorgio ha posto l’accento sull’eredità critica lasciata dalle generazioni precedenti e sul peso che questa ricade oggi sui più giovani.

Federica ha denunciato una gavetta infinita, imposta più per tradizione che per reale formazione, sottolineando come molte dinamiche lavorative ormai desuete generino instabilità e rendano impossibile immaginare un futuro.

Il filo conduttore degli interventi è stato la mancanza di collaborazione. Alice, Daniele e Martina hanno raccontato un clima spesso ostile, in cui prevale il demolire l’altro invece di crescere insieme. Un ambiente che alimenta diffidenza, chiusura e incapacità di riconoscere il merito. Elisa ha confermato l’assenza di una reale propensione a valorizzare i talenti e la tendenza a rifugiarsi in microgruppi impermeabili alla rete.

Francesca e Christian hanno infine raccontato due storie speculari. Francesca ha lasciato Reggio sentendosi rifiutata, costretta a costruire altrove il proprio percorso. Christian, al contrario, ha scelto di trasferirsi da Padova a Reggio, sottolineando come chi arriva da fuori avverta meno paura nell’aprire un’attività rispetto a chi è nato in città.

Il messaggio finale è netto: se Reggio vuole davvero includere i giovani, non può limitarli a osservarli da lontano. Deve prenderli per mano, accompagnarli, riconoscere il loro valore e anche la loro rabbia come motore di cambiamento. Solo così le storie di partenze potranno trasformarsi, finalmente, in storie di ritorni.