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18/11/2025 ore 12.30
Politica

Falcomatà resiste, il Pd mostra il volto cattivo, e il centrodestra chiede un atto di coraggio che non ha mai avuto

Il Gruppo Red e Dp propendono per una verifica di maggioranza per salvare il salvabile, ma ieri a Palazzo San Giorgio il centrosinistra ha idealmente consegnato l’aula (e la città) al centrodestra

di Claudio Labate

«Adesso noi prendiamo atto di questa richiesta e naturalmente si ragionerà». Lascia l’aula con un sorriso amaro il sindaco metropolitano Giuseppe Falcomatà. D’altra parte avrebbe dovuto essere il giorno del congedo dal Consiglio comunale e idealmente dalla città, dopo 11 lunghi anni. Avrebbe certamente voluto concludere la sua esperienza amministrativa diversamente, tra baci, abbracci e pacche sulle spalle. Ma sapeva già, da qualche giorno, e ancor di più da domenica mattina, che le cose stavano prendendo una piega molto seria. Non foss’altro perché si tratta del suo stesso partito.

E per tutto il tempo in cui il capogruppo Peppe Marino, apparso determinato come mai, ha letto il documento politico che intima al sindaco di fare un passo indietro e di rivedere le sue scelte altrimenti si passerà a «scelte definitive», Falcomatà ha mantenuto sul viso un sorriso di plastica.

Quando a margine del Consiglio gli è stato domandato se è rottura col partito, Falcomatà fa spallucce. «Sorrido quando si parla di rotture, il Pd è la mia comunità, è la comunità nella quale mi rivedo, è la comunità nella quale sono nato, è la comunità nella quale mio padre e la mia famiglia hanno combattuto tutte le battaglie in difesa della nostra città e hanno contribuito anche a onorare il nome della nostra città fuori dai confini cittadini, fuori dai confini regionali e io credo che tutte queste cose non siano né negoziabili né tantomeno possano essere oggetto di discussione».

L’appartenenza, la storia familiare, undici anni di amministrazione sono dunque i capisaldi del curriculum di Giuseppe Falcomatà che, contrariamente alle voci fatte circolare ad arte nell’immediato post Consiglio comunale, non sembra stare pensando alle dimissioni, che suonerebbero quasi come il de profundis di una rottura politica, che a questo punto servirebbe soltanto ad alimentare le voci di una condotta personalistica dell’amministrazione e quindi un modo per punire chi non la pensa come lui.

D’altra parte Falcomatà ha deciso di non infarcire il suo intervento di commenti rispetto al documento politico presentatogli dal partito. Ma in più passaggi esplica chiaramente il suo pensiero. Anche quando ha parlato della politica quale arte della mediazione, e quando ha sostenuto che bisogna sempre mettersi in discussione: «Credo che chi fa politica non debba mai pensare di avere delle rendite di posizione tali da consentirgli di svolgere un ruolo senza fare i conti con il consenso. Nella mia carriera politica l'ho sempre fatto, l'ho fatto da consigliere di circoscrizione, l'ho fatto da consigliere comunale, l'ho fatto due volte da sindaco e adesso lo faccio da consigliere regionale perché la nostra città ha premiato ancora una volta, non una persona, ma credo un percorso politico e un'idea di città che abbiamo dato in questi anni. A queste cose non ci si arriva da soli, ci si arriva insieme, non si tiene una maggioranza per 11 anni se si fanno delle scelte che vengono definite scelte solitarie. Si tiene insieme una squadra perché quella squadra ha avuto delle valorizzazioni che ci hanno consentito di arrivare qui. Per lo stesso motivo mi sono messo in gioco alla Regione, la città ha premiato questo percorso e lo farò con l'orgoglio di essere l'unico consigliere regionale della città di Reggio Calabria».

Il volto cattivo del Partito democratico, il “coraggio” invocato dal centrodestra

Da parte sua il Partito democratico «questa volta» ha voluto caricare simbolicamente il documento politico che richiama il primo cittadino alla condivisione delle scelte. Il confine tra le due cose – condivisione col partito e prerogativa del sindaco – è molto sottile. E diciamoci la verità, se non fosse che a queste latitudini il partito viva dualismi incrociati, probabilmente la cosa sarebbe passata in cavalleria dopo la classica “attenta analisi degli organismi di partito”, facendo trionfare la dialettica e il confronto quale motore della vita politica dem. Invece non è così. La tempesta è ancora in corso. Non è la prima. La «deriva personalistica» il partito l’ha denunciata più volte, anche in aula, ma senza andare oltre. «Questa volta» però le cose sono andate diversamente. Domenica mattina si è convocata una riunione di maggioranza con la partecipazione di Pd, Rinascita comune (che con Quartuccio, Sera e Bongani fa esplicitamente riferimento a Giovanni Muraca), il gruppo Red (Castorina, Versace e Burrone) e quello dei Democratici progressisti (Malara e Nocera con De Gaetano dietro le quinte). Il documento che annuncia la sfiducia è stato sottoscritto solo dai gruppi Pd e Rinascita. In tutto sette consiglieri, e addirittura si rivede Nancy Iachino in carne ed ossa. Tanto basta però per far vacillare la maggioranza in un braccio di ferro che blocca l’approvazione di ben otto punti (si tratta di debiti fuori bilancio) posti all’ordine del giorno. D’altra parte, come promesso, i firmatari del documento uno dopo l’altro hanno abbandonato l’aula dopo l’approvazione del primo punto, relativo alla contestazione dell’incompatibilità del sindaco e consigliere regionale. Ma i firmatari del documento, per dimostrarsi ancora più determinati e “cattivi” hanno deciso anche di non alzarsi in piedi alla conclusione dell’intervento di commiato di Giuseppe Falcomatà. Sono stati gli unici a non farlo, e a dileguarsi in fretta dopo l’uscita dall’aula.

Ma, paradossalmente se vogliamo, proprio l’uscita dall’aula ha assunto i connotati della resa. Nel senso che si è avuta plasticamente l’idea del passaggio di consegne tra centrosinistra e centrodestra, con quest’ultimo a dettare la linea del “no” e rimproverare al Pd non solo di aver messo in scena il «solito teatrino» legato a poltrone e fette di potere, ma anche di aver portato in aula una rivendicazione che manca di un elemento essenziale: il coraggio di staccare la spina. Un coraggio che il centrodestra non ha mostrato di avere quando per primo minacciò conseguenze irreparabili per il Consiglio comunale.

Intanto però il gruppo Red e quello dei Dp per non restare schiacciati da questa crisi e favorire una ricomposizione della stessa, hanno diffuso una nota in cui traspare la volontà di operare quella verifica in maggioranza richiesta dal Pd. «In consiglio comunale oggi si è palesata una posizione netta da parte del Partito democratico e del gruppo Rinascita che impone una imminente riflessione in relazione a quella che è' una crisi politica. Riteniamo urgente la convocazione del tavolo politico delle forze che compongono la maggioranza al fine di tracciare un percorso condiviso».

Cosa succederà adesso lo si capirà nei prossimi giorni, ma per dirla con Falcomatà, «adesso prendiamo atto di questa richiesta e naturalmente si ragionerà»…