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05/10/2025 ore 17.25
L'editoriale

Dal letame può nascere un fiore, il risveglio delle coscienze per Gaza è anche la speranza che non sia solo un’illusione - FOTO

Milioni di persone sono scese in piazza in ogni angolo del mondo per dire “no” all’egoismo della guerra: La brutalità dell'uomo ha (ri)trovato un muro di amore
di Elisa Barresi

Nel cuore di una delle più oscure tragedie umane del nostro tempo, qualcosa di inatteso è sbocciato: la coscienza collettiva di un’umanità troppo a lungo anestetizzata. Il genocidio a Gaza, documentato e condiviso senza filtri dai social, ha risvegliato milioni di persone da un sonno profondo fatto di propaganda, silenzi e indifferenza. Dalle macerie e dal sangue, è nato il fiore più raro: la speranza che un nuovo mondo, più giusto e umano, sia ancora possibile.

C’è una frase che molti di noi hanno sentito almeno una volta nella vita: “Dal letame può nascere un fiore“. Forse ci sembrava solo una metafora, una frase poetica buona per i momenti difficili. Ma oggi, nell’anno del Signore 2025, quella frase ha preso forma nel modo più reale, straziante e al tempo stesso commovente che potessimo immaginare.

Nel mezzo dell’orrore, dove le parole si spezzano di fronte alle immagini, e il silenzio sembra più eloquente di qualsiasi commento, è accaduto qualcosa che nessuno poteva prevedere: un’umanità stanca, addormentata, anestetizzata da anni di propaganda, di egoismo, di distrazioni e indifferenza… si è svegliata.

È successo a Gaza, dove il dolore non è più stato solo una notizia ignorata, o un titolo tra tanti. È successo quando i social, tanto demonizzati, hanno mostrato al mondo ciò che i media tradizionali hanno spesso scelto di non raccontare. Un genocidio. Un massacro quotidiano di innocenti. Bambini, madri, anziani. Vite che chiedevano solo di essere viste, riconosciute, pianto.
E noi, finalmente, abbiamo guardato.
Abbiamo ascoltato.
Abbiamo sentito.

In poche settimane, milioni di persone in ogni angolo del pianeta sono scese in piazza. Senza bandiere politiche, senza slogan divisivi. Solo con una certezza: non nel mio nome. Dal Canada alla Nuova Zelanda, da Milano a Città del Capo, cinque generazioni diverse — che spesso non parlavano nemmeno più tra loro — si sono trovate unite, in piedi, come un unico corpo. Per dire basta. Per difendere ciò che resta della nostra umanità.

La filosofia antica parlava della distinzione tra dormienti e svegli. I primi vivevano nel torpore dell’ignoranza, i secondi nella luce della conoscenza.
Ecco, è accaduto.
Il mondo si è svegliato.
Quella che poteva essere solo l’ennesima tragedia ignorata, si è trasformata in uno spartiacque. Non perché la morte abbia trovato un senso — perché non c’è niente di giusto nella morte degli innocenti — ma perché da quella morte è nato qualcosa. Un fiore, sì. Fragile, ma reale. Fatto di consapevolezza. Di empatia. Di giustizia. Di partecipazione.

Per anni ci hanno insegnato a distogliere lo sguardo. A credere che il dolore degli altri fosse un peso inutile. Ma oggi è accaduto l’opposto: milioni di persone hanno scelto di condividere quel dolore, di farsene carico, di gridarlo. Insieme.

Dalla tragedia umana al risveglio delle coscienze. La brutalità dell’uomo ha così trovato un muro di amore, cori, poesie e colori per dire che no, non nel mio nome. Un presente che sa già di speranza quella di un futuro fatto da adulti migliori di noi che hanno scelto di conoscere per svegliarsi da quel sonno della propaganda e da quel silenzio complice dell’indifferenza.

I potenti del mondo hanno dovuto ascoltare. Perché quando i giovani — quelli che “non si interessano di politica” — decidono di alzare la voce, tutto si muove. Anche il denaro, il più indifferente degli dei, vacilla davanti alla perdita di consenso.

È in quel momento che il letame della storia — marcio, pesante, fetido — ha dato vita a un fiore.
Non uno di quelli da mettere in cornice, ma un fiore che cammina. Che parla. Che protesta. Che piange. E che spera. Forse è questa la vera rivoluzione del nostro tempo: l’aver scelto di non essere più complici.
Perché la speranza non è un’illusione: è una scelta. E oggi, finalmente, il mondo ha scelto.