Reggina, il più grande (e triste) spettacolo dopo il big bang
Se non è tutti contro tutti poco ci manca. Dopo le uscite tutt’altro che chiarificatrici del patron Felice Saladini e del sedicente acquirente Manuele Ilari, la Reggio sportiva ingoia anche il rospo della verità di Marcello Cardona, presidente dimessosi ormai più di due mesi fa – era il 21 giugno – e sparito dalla circolazione.
Un silenzio ed un’attesa la sua – «Non ho parlato in questi mesi perchè avrei rischiato di influire sull’iter processuale e giuridico» ha detto – che però a ben vedere non sono serviti alla causa amaranto.
Le due questioni sollevate dall’ormai ex presidente degli amaranto sono note a tutti e temporalmente succedono dopo la comunicazione «delle proprietà» di aver iscritto la squadra al campionato di serie B: quindi l’intenzione di voler vendere subito la Reggina e il rischio – si proprio il rischio – assunto dal patron Saladini e dal suo commercialista di non pagare gli ormai famigerati 757 mila euro entro il termine perentorio fornito dalla Lega.
Cardona lo grida ai quattro venti: «Se la Reggina avesse pagato, la Covisoc non avrebbe fatto alcuna segnalazione».
Ma la domanda a cui non risponde Cardona è: cosa ha fatto il presidente, garante, reggino doc, perché ciò non accadesse? Anche dopo che gli hanno comunicato che la società sarebbe stata venduta ha provato a capire perché e cosa si era rotto? Questo lui non l’ha detto. Ha raccontato di essere venuto a conoscenza della volontà delle proprietà, ma non di averne discusso.
Lui stesso ammette che c’era – e c’è ancora – qualcosa che non quadra. Non si vende così su due piedi e in poche ore una società come la Reggina e, come detto altre volte, non convince la versione di Saladini di aver venduto perché scomodo all’ambiente calcio.
Fatto sta che Cardona ha ritenuto che il suo mandato fosse concluso con quell’intenzione di vendere la società, trovando così un motivo per defilarsi, perché, e questo glielo si deve riconoscere, non pagare quei 757 mila euro ha significato sconfessare il suo operato. E d’altra parte nessuno – giura ancora l’ex presidente – gli ha chiesto di restare.
Insomma, come dire, la Reggina se lo è meritato, con il suo comportamento.
Quello che non è chiaro è il perché Cardona non abbia fatto resistenza. Nessuno lo ha chiamato, ma a quanto pare – questo ci dice la conferenza stampa – neanche lui ha chiamato qualcuno. Dice di non aver più avuto lo strumento giuridico per intervenire. Ma lì non si richiedeva la figura del presidente, ma del tifoso, garante. Dell’uomo che si era guadagnato la fiducia della sua gente. Era forse più un dovere morale che formale.
E d’altra parte, per lui, non esiste nessun complotto ai danni della Reggina, perché Lega e Federazione hanno da parte loro il dovere di tutelare l’interesse delle altre 19 società di Serie B.
Bene. Ma se Cardona fa capire che solo la sua presenza e la sua azione presso i vertici hanno permesso alla Reggina di avere una penalizzazione minore di quella che ci si aspettava/meritava, allora perché non ha pensato di rimanere il tempo utile per capire se c’erano i presupposti per ricomporre la nuova frattura con il palazzo?
Il messaggio arrivato dalle sue dimissioni è stato probabilmente più devastante dell’annuncio di messa in vendita della società. Anche perché se molla l’uomo simbolo della trasparenza, in un momento di totale incertezza, cosa c’è da sperare di buono?
Insomma, che sia tutta colpa di Saladini e soci, lo avevamo in qualche modo capito. E l’idea di un disegno, questo sì della proprietà e non della Federazione, studiato a tavolino, per questa fine ingloriosa, non sembra più una idea peregrina.
Facendosi da parte, però, Cardona pare abbia facilitato l’affossamento della Reggina. Questo è un dato di fatto. La sua ingombrante assenza ha fatto il paio con il silenzio scelto dalle proprietà vecchie e nuove in un passaggio di quote che non ha convinto nessuno e che d’altronde non si è mai concretizzato.
Cardona invita Saladini&Co a dire cosa realmente sia successo alla gente. Ma la sua spiegazione, non ce ne voglia l’ex presidente, non è stata convincente proprio come quella di chi l’ha preceduto.
A noi sembra che, come in un tavolo da gioco, ognuno abbia giocato la propria partita, puntando a salvaguardare più il proprio interesse e la propria integrità, che il “piatto”, che al secolo si chiama Reggina. L’unico bene che andava salvaguardato e garantito.
Siamo altresì convinti che il big bang amaranto sia solo all’inizio. Ma sarà il tempo a dirlo.