Con "Fratelli" Santo Versace torna a parlare della sua famiglia: «Siamo figli della Magnagrecia. Gianni non ha mai dimenticato le sue radici» - VIDEO
Il racconto di un genio, delle sue radici profonde, della sua identità e della sua capacità di visione, e di una famiglia di Reggio Calabria che ha plasmato la storia della moda nel mondo. La testimonianza della forza di un amore che riconosce nella solidarietà lo stato di grazia di chi genera la vita offrendo a persone fragili occasioni di rinascita e riscatto. Si è respirato l’amore tra Santo Versace e Francesca De Stefano. Si è celebrato il genio intramontabile di Gianni Versace nell’aula magna Ludovico Quaroni dell’università Mediterranea di Reggio Calabria in occasione della presentazione del libro “Fratelli. Una famiglia italiana” (Rizzoli). I proventi della pubblicazione sono interamente devoluti alla fondazione Santo Versace, impegnata dal 2021 in progetti a beneficio di persone che vivono in condizioni di fragilità e di disuguaglianza sociale.

«La mia è stata famiglia straordinaria, unica sotto certi aspetti. Mio padre, Antonio – racconta Santo Versace – fu un grandissimo atleta che dopo il matrimonio, cominciò a lavorare come imprenditore e a dedicarsi alla famiglia. Mia madre, Francesca che tutti chiamavano Franca, nata nel 1920, era una donna straordinaria che per decisione del padre, che riteneva disdicevole che frequentasse la scuola, in quanto luogo in cui avrebbero potuto esserci contatti con uomini, non poté studiare oltre la licenza elementare. Lavorò così come sarta e nella sua sartoria “nacque” Gianni Versace. Grazie alla sarta straordinaria e talentuosa che era la mamma, abbiamo avuto Gianni Versace. Lui è cresciuto dentro l’atelier materno con la differenza che poi lui mostrò quel talento al mondo intero.
I nostri genitori hanno dato un esempio incredibile di valori di etica, rispetto, umanità. Ci hanno forgiato su quell’esempio. Di meglio non avremmo potuto avere». Così ricorda i suoi genitori Santo Versace, richiamando quell’atelier gestito da sua madre, dove il grande, allora giovanissimo, Gianni Versace osservava e imparava ad essere il genio che poi sarebbe diventato. Quell’atelier era a Reggio al nº 13 di via Tommaso Gulli, nei pressi del Duomo dove per alcuni anni è stata situata anche la boutique Versace.
La proposta di una laurea Honoris causa alla Memoria
L’incontro, moderato dal giornalista Giuseppe Smorto, è stato introdotto dal rettore Giuseppe Zimbalatti che ha riferito di un intento che la Mediterranea si propone di perseguire, sfidando la burocrazia: «Abbiamo già avanzato la proposta al Ministero per conferire una laurea Honoris causa alla memoria a Gianni Versace. L’iter è stato avviato circa un anno fa. La prima risposta è stata negativa perchè pare che la legge non lo consenta. Noi non molleremo perchè crediamo nell’importanza della memoria di questo grande genio reggino e della sua storia familiare che si è affermata a livello globale pur mantenendo salde le radici nel luogo di origine».
Magna Grecia: radici e identità

E infatti, racconta ancora Santo Versace, «Gianni ha sempre ricordato le sue radici intrise di Magna Grecia. Il simbolo scelto per la maison è la medusa, un chiaro richiamo alla mitologia greca. Noi siamo figli della Magna Grecia, Gianni questo non l’ho mai scordato, l’ha sempre valorizzato al massimo perchè è la nostra cultura. Quando parliamo di Magna Grecia ricordiamoci che significa una Grecia più grande della madre patria. Dobbiamo avere sempre il coraggio di rispettare noi stessi. Questo ci consentirà di fare qualunque cosa. Questo ha consentito a Gianni di potare Reggio e la Magna Grecia nel mondo come nessun altro è stato capace di fare. Questa città – dichiara Santo Versace – dovrebbe intitolare alla sua memoria ciò che ha di più bello».
Fratelli
Il titolo del libro “Fratelli”, richiama un legame di sangue profondo e speciale.
«La morte della primogenita mi ha cambiato la vita. Aveva 10 anni e io 9. Quando è successo per me è finita l’infanzia. Da allora, senza accorgermi ho sempre fatto il fratello maggiore e con Gianni è stata sempre una cosa bellissima. Eravamo complementari: lui un creativo puro da una parte e io creativo organizzativo dall’altra. Essere il suo fratello maggiore è stato naturale. Gianni era un eterno ragazzino, maturo ma sempre ragazzino nello spirito, senza sovrastrutture. Donatella è straordinaria. Ha compiuto 70 anni ma è ancora giovane e ha tantissime cose ancora da fare. Le potrà fare nei prossimi decenni».
Il messaggio ai giovani
Essere e sentirsi giovani è tratto comune a Santo e Donatella: «Non ho compiuto 80 anni ma ho fatto vent’anni per la quarta volte. Me ne sento veramente 20 e spero di poter continuare in forma come adesso e di stare sempre in mezzo ai giovani». In mezzo ai giovani Santo continua a trovarsi. Ha ricevuto lo scorso marzo una laurea honoris causa lo scorso marzo all’Unical di Cosenza in Ingegneria gestionale. Qualche giorno fa è stata la volta del dottorato di Ricerca Honoris Causa in “Economics, Management and Statistics” all’università di Messina dove ha compiuto i suoi studi da giovane.
«Mi sembrava di rivivere gli anni da studente. Il, tempo all’università è il più bello della vita. Spero che i giovani se ne rendano conto, comprendendo l’importanza di coltivare i propri sogni. Tutti abbiamo un talento, un genio, una vena creativa in dono. Dobbiamo riconoscerla e poi applicarci con grinta e passione. Senza abnegazione e determinazione nessun talento basterebbe».
Il Made in Italy
Il pensiero va al percorso straordinario condiviso con il fratello Gianni. Alla svolta, richiamata dal moderatore Giuseppe Smorto, segnata proprio nell’anno del ritrovamento dei Bronzi di Riace nel 1972 con il salto da Reggio a Milano. Qui qualche anno dopo presentò la sua prima collezione firmata Versace, un brand che avrebbe rivoluzionato la moda, l’avrebbe innovata, portando alto il Made in Italy nel mondo ed esaltandone la matrice di industria culturale. Poi la tragedia che cambiò il destino di Gianni e non solo il suo. Il 15 luglio 1997 Gianni Versace venne assassinato a Miami dove viveva.
15 luglio 1997
«Mi sono reso conto a distanza di tempo di quanto fosse stato facile creare e fare con Gianni la Versace fino al 15 giugno 1997 e di quanto fosse stato difficile mantenerla dopo quella tragedia. Eravamo pronti alla fusione con Gucci e a sbarcare in borsa con una quotazione straordinaria. Sarebbe stato il primo gruppo italiano a farlo. Poi nulla più. Tenere in piedi la Versace, traghettandola nel futuro è stata un’impresa ancora più difficile e più difficoltosa ma lo abbiamo fatto e anche se cambiano le proprietà non muterà il suo dna». Un brand, quello di Versace, che continua a decantare nel mondo anche adesso che veste Prada.
La fondazione Santo Versace
La storia di questo libro e della famiglia Versace è legata a doppio filo storia con la fondazione Santo Versace che promuove la solidarietà. «Il frutto dell’unione tra me e Santo – racconta la moglie Francesca De Stefano Versace, vicepresidente della fondazione – si è concretizzato nella creazione di questa fondazione. Noi siamo credenti. Un figlio non è arrivato e siamo stati sempre convinti che Dio avesse per noi un altro progetto. La nascita di questa fondazione per noi è come aver avuto un figlio. Ci proponiamo di stare accanto ai più fragili. Le declinazioni sono varie.

Di recente due progetti ci hanno impegnato uno nazionale “Abbracci in libertà”, nel carcere di Bollate a Milano con l’allestimento di uno spazio protetto per l’incontro tra madri detenute e i loro figli, e uno internazionale annunciato nel giorno dell’80°compleanno di Santo a Nairobi con la costruzione di una casa per accogliere donne che vivono in estrema povertà, vinte dalla morsa della fame e per le quali la prostituzione è il male minore. Ecco noi vorremmo poter estendere queste esperienze in altre carceri in Italia e in altri paesi africani. Santo è stato sempre un uomo del fare che ha reso concreti i desideri e realizzato sogni, i miei e quelli di tante altre persone. Auguro a tutte le donne di avere un marito come lui», sottolinea ancora Francesca De Stefano Versace, vicepresidente della fondazione Santo Versace.
«La fondazione è estremamente importante. Io e Francesca stiamo insieme da 20 anni. Non abbiamo figli, questa fondazione è proiettata nel futuro. Entrambi – racconta Santo Versace – abbiamo avuto l’esempio straordinario di altruismo dei nostri genitori. Francesca è il motore della fondazione e i progetti che abbiamo attivato e che attiveremo, abbiamo in animo di farlo anche a Reggio, dureranno molto oltre noi».
Design e creatività

«L’incontro di oggi con Santo Versace è un momento molto importante per i nostri studenti e le nostre studentesse. L’università perché non è solamente erogare lezioni, insegnare le tecniche per quello che riguarda il mondo del design, di cui il fashion fa parte. È molto importante capire come nascono le ispirazioni. La presentazione di questo libro, che io definisco un libro di grande sincerità, penso trasmetta ai giovani passione e creatività», dichiara Francesco Armato, coordinatore del giovane corso di Laurea in Design presso l’università Mediterranea, di cui sta per terminare il quinto anno.
Una parabola di creatività, sacrificio e bellezza
«La storia di Santo Versace non è solo la storia di un uomo, di una famiglia, di un’impresa ma è una parabola di creatività di sacrificio e di bellezza intesa come Kalos che in Greco significa bellezza etica ed estetica che alla tradizione unisce l’innovazione. Ciò in un’epoca che Papa Francesco definiva di grandi cambiamenti e trasformazioni con non hanno precedenti per velocità e profondità. Occorre che tali accelerazioni siano orientate con un senso di futuro che abbia un’ontologia marcata, di cui l’umanesimo classico ellenico e mediterraneo sono custodi. C’è bisogno di proiettarsi verso un futuro buono e non un futuro distopico. La Calabria può imparare possiamo essere avanguardia e non retroguardia del futuro», dichiara Francesco Cicione, presidente di Entopan. «La creatività è componente essenziale di ogni economia e di ogni possibilità di crescita e sviluppo di un territorio», sottolinea Domenico Marino, professore di Politica Economica.