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11/04/2025 ore 15.01
Società

Da Bovalino a Gerusalemme, La Cava al processo Eichmann: «Voce metallica. Pareva da escludersi ogni rimorso di coscienza»

L'intellettuale calabrese, inviato dal Corriere meridionale di Matera, seguì le udienza di quello che fu battezzato come il processo del secolo, al via in Israele l'11 aprile 1961. La pena di morte, dopo la condanna per crimini contro l'umanità, del tenente colonnello delle SS fu eseguita nel 1962
di Anna Foti

«Come si presenta l’imputato? Le mani di Lady Macbeth e quelle di don Rodrigo. Un funzionario perfetto, già descritto da Kafka. Responsabilità individuale e responsabilità collettiva nella Germania nazista». Con questo sottotitolo apparse nel 1961 sul Corriere meridionale di Matera, l’articolo “Le mani di Eichmann” a firma dell’intellettuale calabrese di Bovalino Mario La Cava.

L’11 aprile di quell’anno, davanti al tribunale distrettuale di Gerusalemme iniziava un processo storico, che il mondo attendeva. Si sarebbe concluso il 15 dicembre successivo con la condanna a morte per genocidio e crimini contro l’umanità di Adolf Eichmann, tenente colonnello delle SS ritenuto responsabile dell’omicidio di milioni di ebrei.

Esperto di questioni ebraiche, organizzò il traffico ferroviario per il trasporto degli ebrei ai vari campi di concentramento attuando la cosiddetta “soluzione finale”. Dopo 15 anni di latitanza in Argentina sotto falsa identità, sfuggito al processo di Norimberga celebrato tra il 1945 e il 1946, il funzionario militare tedesco venne catturato dal Mossad, il principale servizio segreto israeliano, e poi processato proprio in Israele.

A seguire il processo anche Mario La Cava, attento e arguto osservatore della storia, si interessò ad anche alla Shoah e a Israele. Come inviato per il Corriere Meridionale di Matera, probabilmente tra le testate più piccole accreditate a seguire quel grande evento di portata storica.

Le mani di Eichmann

Riportava Mario La Cava nell’articolo “Le Mani di Eichmann” pubblicato il 17 settembre 1961 sul Corriere meridionale di Matera: «Ricordo l’impressione che mi fece Eichmann, prima volta che lo vidi chiuso nella gabbia di vetro infrangibile. Due soldati armati lo guardavano seduti all’interno della gabbia in una paurosa immobilità. Un terzo soldato, addetto al servizio  degli incartamenti, vigilava dal lato della gabbia che aveva una apertura verso l’emiciclo dei giudici (…).

Ricordo il suo volto privo di colore, come se non lo avesse mai avuto, più che se fosse impallidito, mentre, sotto la cuffia acustica, che poggiando sulle orecchie gli incorniciava la testa calva, ascoltava con freddezza glaciale le accuse dei testimoni contro di lui, contemplava come se fosse cosa che non lo riguardasse, i filmati sullo sterminio nei campi nazisti della morte (…). Ed Eichmann parlava con voce metallica, aspra e precisa. Pareva che nell’esposizione dei fatti accaduti fosse da escludersi a priori il caso del rimorso di coscienza. Invano ci si sarebbe aspettati la frase che Shakespeare ha messo in bocca a Lady Macbeth: “Tutto l’oceano, non basterebbe a lavare queste due piccole mani”. Ma già per Eichmann non si tratterebbe di «piccole mani», ma di mani rapaci».

Anche Mario La Cava rimase, infatti, colpito dall’impassibilità agghiacciante di Eichmann, uomo saldo nella sua obbedienza, per il quale la fedeltà al regime significò abdicare alla facoltà di pensare e di discernere il bene dal male. Hannah Arendt, la filosofa e politologa tedesca, anche lei a Gerusalemme per seguire le 120 sedute del processo come inviata del settimanale New Yorker, il cui resoconto ed i cui commenti furono pubblicati nel 1963 nel saggio “La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme“, per prima scrisse che «le sue azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso».

Viaggio in Israele

Ma di quel processo, Mario La Cava riportò anche impressioni nel suo “Viaggio in Israele”.

«Cercai i suoi occhi, ma essi nemmeno per un momento si prestavano ad essere guardati. Eichmann ignorava il pubblico. All’annunzio dell’arrivo del Tribunale, scattò in piedi con moto di militaresca eleganza e precisione. La pelle della sua faccia non sembrava viva, ma conciata e tirata sulle ossa, come se tale fosse stata resa dall’indifferenza dell’animo e dall’esercizio costante della volontà malvagia. Labbra sottili, taglienti di chi non aveva mai sorriso ad alcuno. Le mani, tozze e robuste davano un certo turbamento inspiegabile: come fossero le mani di chi sa colpire crudelmente».