Da Reggio Calabria a Londra, il viaggio della dottoressa Maria Teresa Marafioti: la forza dei calabresi che non smettono di credere nella propria terra
Rientrare per un premio non è soltanto un atto di riconoscenza. È un ritorno simbolico, una restituzione di senso. La dottoressa Maria Teresa Marafioti, anatomopatologa e professore di Ematologia all’University College London, lo sa bene. Da primario di diagnostica ematologica agli University College Hospital di Londra, ha costruito una carriera internazionale di altissimo livello, diventando una delle voci più autorevoli nel campo dell’oncoematologia e della ricerca sui biomarcatori dei linfomi e delle leucemie. Eppure, quando rientra in Calabria, porta con sé l’emozione di chi non ha mai reciso le proprie radici.
«Rientrare in Calabria a ricevere un premio così prestigioso è il segno che noi calabresi siamo forti e sappiamo essere calabresi al 100% anche all’estero, dimostrando pienamente le nostre capacità». La voce della Marafioti tradisce l’orgoglio di chi conosce il peso e la tenacia del proprio popolo. «Condivido in pieno il coraggio dei calabresi: è grande, forte. Sappiamo farci conoscere e rispettare all’estero e lavoriamo molto bene, dando contributi notevoli in ciascun campo, nel mio caso con ricerche in oncoematologia e implicazioni nello sviluppo di nuovi trattamenti terapeutici».
Da Messina, dove si è laureata in Medicina e Chirurgia e specializzata in Patologia, è partita per Berlino, poi Oxford, fino a Londra. Ogni tappa una conquista, ogni traguardo una prova che la competenza del Sud può valicare confini e pregiudizi. Alla UCL, guida oggi ricerche all’avanguardia sull’immunologia dei linfomi e sul microambiente tumorale, partecipando a progetti internazionali di terapie innovative con cellule CAR-T. Un curriculum che la pone tra le eccellenze della medicina europea, ma che per lei resta intrecciato con un’identità calabrese mai messa tra parentesi.
Dietro la brillantezza dei successi individuali, però, si staglia un tema più profondo: la fuga dei cervelli. Un’espressione logora, spesso ripetuta senza capire quanto dolore e quanta speranza contenga. La storia di Maria Teresa Marafioti mostra che non tutte le partenze sono fughe: alcune sono missioni. Ci sono ricercatori, medici, artisti e studiosi del Sud che hanno scelto l’estero non per disprezzo, ma per sete di strumenti, per trovare ciò che qui mancava. E molti, come lei, non hanno mai smesso di restituire alla Calabria l’immagine di una terra capace di generare talento.
Nel suo sguardo non c’è rassegnazione, ma una fiducia lucida: «In Calabria si può ancora fare ricerca, nonostante la situazione emergenziale della nostra sanità. L’Università della Calabria a Cosenza è un esempio: ha speso tante energie e il rettore, che sarà premiato stasera, ha fatto sì che oggi l’Unical risulti tra le prime università in Italia. Sicuramente ci sono possibilità per sviluppare la ricerca. Mi auguro che questo avvenga anche a Reggio e spero che si concretizzi l’apertura di una facoltà di medicina, così da garantire anche agli studenti della parte bassa della Calabria e della vicina Sicilia orientale la possibilità di studiare medicina a Reggio Calabria».
Le sue parole aprono uno spiraglio: il vero nodo non è l’andare via, ma il poter tornare, o almeno riconnettere ciò che si è imparato altrove con ciò che si ama di qui. La diaspora dei talenti calabresi, se vista da questo prisma, non è una ferita aperta, ma un patrimonio disseminato nel mondo. Ogni riconoscimento, ogni ritorno, è una scheggia di quella rete invisibile che lega chi è partito a chi resiste.
E forse è proprio da qui che può ripartire la narrazione del Sud: dal riconoscere le proprie eccellenze come ambasciatori, non come esuli. La Calabria ha generato medici, scienziati, ricercatori che operano nei più grandi centri di ricerca internazionali. Non è un paradosso, è un capitale umano che attende soltanto una politica capace di riportare la ricerca al centro, di offrire strutture, laboratori, prospettive.
Quando Maria Teresa Marafioti parla della possibile nascita di una facoltà di Medicina a Reggio Calabria, non lo fa solo da accademica. Parla da figlia di una terra che sogna di rimettere in circolo il proprio sapere. E nel suo tono c’è la convinzione che la Calabria non debba più essere solo il luogo delle partenze, ma anche quello dei ritorni. Perché ci sono partenze che salvano, in quanto portano con sé l’idea del ritorno. Di un treno verso il mare, jonio o tirreno che sia. E ci sono ritorni che cambiano tutto, perché mostrano che la forza dei calabresi non è partire, ma continuare a credere che la propria terra meriti di essere raggiunta di nuovo.