Dai centri antiviolenza la voce accorata di Francesca Mallamaci, custode delle ferite e dei sogni delle donne
All’evento Mai più sola la Coordinatrice del Centro Antiviolenza e Casa Rifugio “Angela Morabito” dell’Associazione Piccola Opera Papa Giovanni – porta un intervento intenso, radicato nell’esperienza quotidiana accanto alle donne che subiscono violenza. Una riflessione profonda sul ruolo dei CAV, sul valore della prevenzione e della formazione, e sulla responsabilità collettiva nel costruire una società libera dalla violenza di genere
Un intervento vibrante, quello di Francesca Mallamaci all’evento Mai più sola, che nasce dall’esperienza concreta di chi ogni giorno accoglie donne ferite nel corpo e nell’anima, insieme ai loro figli, spesso altrettanto segnati dalla violenza. Una voce che non parla per astrazione, ma dalla realtà viva dei centri antiviolenza, dove il dolore incontra la possibilità di rinascere.
Mallamaci apre il suo contributo ricordando il ruolo che ricopre: «Nella qualità di coordinatrice del Centro Antiviolenza (CAV), e degli annessi sportelli di ascolto territoriali (Arghillà, Taurianova ed Ardore marina), e della Casa Rifugio “Angela Morabito” dell’Associazione Piccola Opera Papa Giovanni di RC, porto la voce di luoghi che ogni giorno accolgono donne e il loro dolore, le loro paure, ma anche sogni, spesso spezzati, e desideri di libertà ma anche una richiesta di giustizia».
Il cuore del lavoro dei CAV – spiega – non è solo la protezione immediata, ma un percorso complesso di cura e ricostruzione: «Il nostro compito è accogliere la donna, offrirle sostegno psicologico, legale e sociale, ma anche riconoscimento, fiducia e possibilità di ricostruire la propria autonomia lavorando insieme a lei sulla narrazione della violenza subita, sulla sua protezione e quella dei loro figli/ie, sulla responsabilità del vissuto di violenza, sull’empowerment».
Oltre l’emergenza: prevenzione e reti territoriali
L’intervento sottolinea come i Centri Antiviolenza autorizzati, come il “Angela Morabito”, agiscano ben oltre il momento della crisi: «Il compito del CAV “A. Morabito”… non si esaurisce nel soccorso, ma è anche fare in modo che nessun’altra debba mai più vivere quella stessa violenza… Porta avanti quindi un lavoro… che si fonda sulla prevenzione, sulla formazione, e sulla costruzione e rafforzamento delle reti territoriali».
Reti fatte di magistratura, servizi sociali, forze dell’ordine, scuola, sanità, associazioni, stampa: «Solo insieme possiamo dare risposte efficaci e durature». L’analisi si amplia fino al quadro europeo e normativo, ricordando la centralità della Convenzione di Istanbul: «La violenza di genere non è un fatto privato o emergenziale, ma un problema strutturale… Prevenire significa agire sulle cause profonde attraverso l’educazione E NON LA CENSURA».
GREVIO, ricorda Mallamaci, riconosce ai CAV un ruolo strategico perché fondato su un sapere “esperienziale e professionale unico”. Ma avverte: «I CAV tuttavia in Calabria rimangono sotto-finanziati… con a rischio la relativa sostenibilità economica».
Formazione come chiave della prevenzione
Un punto cardine dell’intervento riguarda la necessità di una formazione continua e qualificata, come previsto dalla Conferenza Stato-Regioni 2022: «Per essere riconosciuto come CAV, un centro deve disporre di personale qualificato, già formato, in costante aggiornamento e supervisione… capace di operare in équipe multidisciplinare, con un approccio di genere».
Un impegno che trova conferma nel Libro Bianco per la formazione sulla violenza maschile contro le donne: «I Centri Antiviolenza sono laboratori di cambiamento sociale… Non agiscono solo nell’emergenza, ma operano anche nel lungo periodo… promuovendo una cultura delle relazioni libere da stereotipi».
Educare all’affettività per prevenire la violenza
Mallamaci insiste su una dimensione spesso trascurata: l’educazione alle relazioni. «È proprio sul piano educativo che si gioca la possibilità di prevenire la violenza di genere… Non bastano regole o divieti: servono strumenti educativi che insegnino a riconoscere, NOMINARE – perché ciò che non si nomina non esiste – e decostruire queste dinamiche».
Amare, dice, significa libertà, non possesso: «Educare all’affettività significa prevenire la violenza prima che accada… insegnare che amare non è possedere, che il rispetto è la forma più alta di amore». E richiama l’importanza del linguaggio come costruzione culturale: «La violenza di genere non nasce all’improvviso: cresce dove persistono stereotipi… Ricordiamoci che il linguaggio non è naturale ma una costruzione umana».
La responsabilità di tutti
La conclusione è un appello chiaro, che coinvolge ciascuno: «Non basta informare: serve formare… per evitare il rischio di vittimizzazione secondaria».
E ancora: «Prevenire la violenza è una responsabilità collettiva e anche dei singoli cittadini e cittadine perché non è un fatto privato. Contrastare la violenza maschile contro le donne… è una politica di civiltà capace di generare una cultura della libertà e del rispetto».
L’intervento di Francesca Mallamaci al Mai più sola è, in definitiva, un invito potente a guardare la violenza contro le donne come un fenomeno strutturale, che richiede risposte strutturali. Un invito a riconoscere il valore dei Centri Antiviolenza come presìdi culturali oltre che sociali, e a comprendere che la prevenzione non è un atto isolato, ma un processo collettivo che riguarda tutti.