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06/11/2025 ore 06.30
Società

“Dal mio punto di vista”, l’esecuzione penale esterna e la fotografia come strumento di riscoperta di sé

Gli scatti, frutto del progetto promosso dall’Udepe di Reggio Calabria in collaborazione con l’associazione Antigone – Osservatorio sulla ndrangheta, in mostra nella galleria di Palazzo San Giorgio. La dirigente Passalacqua: «La cittadinanza è chiamata a essere parte di questo percorso di reinserimento sociale»

di Anna Foti

“Prigionia e libertà, due prospettive dello stesso sguardo”. Lo sguardo è quello offerto da dodici persone che, scontando la loro pena fuori dal carcere nel circuito dell'esecuzione penale esterna, hanno partecipato al progetto fotografico "Dal mio punto di vista".

Un viaggio alla riscoperta di sè attraverso lo sguardo proprio e degli altri, promosso dall’ufficio distrettuale di Esecuzione Penale Esterna (Udepe) del ministero della Giustizia, in collaborazione con l’associazione Antigone – Osservatorio sulla ndrangheta di Reggio Calabria.

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L’introspezione può diventare narrazione per immagini e parole e la rieducazione una inattesa espressione creativa.

“Dal mio punto di vista” ha segnato un tratto di strada fuori dalle mura carcerarie, nel segno del reinserimento sociale. L’evento conclusivo a palazzo San Giorgio nel 75° anniversario della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu) dove forte è stato nel 1950 il richiamo alla dignità e alla giustizia.

«Questo progetto fotografico ha coinvolto persone sottoposte a misure alternative alla detenzione, in particolare affidati e detenuti domiciliari. Il lavoro di gruppo con lo psicologo ha consentito l'emersione di difficoltà, fragilità, emozioni poi confluite nell’esperienza fotografica seguiti da una professionista. Lo strumento culturale ed artistico della fotografia ha educato anche alla scelta, tra ciò che si vede, di ciò che si vuole condividere con gli altri. Il risultato è stato davvero sorprendente», ha spiegato Marianna Passalacqua, dirigente Udepe Reggio Calabria.

Un viaggio nei luoghi interiori

Uno sguardo dentro la città e i suoi luoghi che diventano luoghi di portata universale: i giochi dell'infanzia; momenti di quotidianità semplici e preziosi dai quali rinascere, oggetti recuperati e restituiti a nuova vita dai quali imparare l’arte del riscatto; feritoie dalle quali far passare la luce e intravedere il futuro. Un futuro oltre la pena.

«La vita è una giostra che gira veloce. A volte si rompe, e qualcuno resta indietro, mentre gli anni passano. Chi resta indietro osserva, riflette, e trova nuovi modi per ripartire. Ma anche nei momenti di fermo e di caduta, ogni istante insegna, ogni pausa racconta chi siamo diventati», scrivono coloro che, fotografando, si sono interrogati su loro stessi.

Tutto questo e molto altro in diciotto scatti esposti nella galleria di palazzo San Giorgio fino alla prossima domenica e scelti tra i mille che invece scorrono in un video.

«Attraverso la grata, lo sguardo cerca la luce. La libertà è lontana, ma chi sa guardare oltre l'oscurità, la porta già dentro di sè. Tra le sfumature della vita, l'oscurità diventa solo il preludio a nuovi orizzonti da scoprire», si legge ancora nei testi che accompagnano le foto esposte.

Ogni scatto, rigorosamente in bianco e nero, è un racconto di riscoperta e riscatto di sè. L'espressione unica e irripetibile di un punto di vista non solo trovato ma anche espresso e condiviso. Accanto anche dei pensieri, frutto di incontri fatti anche di parole oltre che di luoghi e impressioni. Parole anch'esse cercate e condivise. Anch'esse vive come le intenzioni e i propositi di nuovi inizi.
«Non esiste catena che trattenga la volontà di ricominciare. La libertà è un orizzonte che nasce dentro. L'uomo spezza le proprie catene quando sceglie di guardare avanti. Oltre il limite, inizia la ricostruzione. Non c'è catena che possa legare per sempre un'anima che ha scelto di ricominciare».

C'è la speranza e c'è anche una riflessione sofferta sulla giustizia. «Nel vuoto di un luogo abbandonato si riflettono le ferite dell'uomo: solitudine, smarrimento, ingiustizia. Dove tutto è stato lasciato andare, resta l'eco di ciò che non è stato giusto».

C'è la nostalgia dei tempi reconditi dell'infanzia. «Attimi senza pensieri, sospesi in un tempo che non tornerà. Il tempo dell'infanzia: spensieratezza, libertà, eternità. C'erano giorni in cui bastava giocare per sentirsi felici. Ricordi di un tempo senza tempo, dove il pensiero non pesava».

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La storia di ciascuno, narrazione comune

«È stato intrapreso un viaggio nei luoghi dell’infanzia, nei luoghi di comunità fino ai luoghi di frattura che hanno portato alla pena. Un viaggio – ha spiegato la volontaria di Antigono Simona Martino -  con l'accompagnamento della psicologa Gea De Tommasi e della fotografa Simona Calabrò». 

«Sessioni fotografiche e incontri di parole hanno scandito questo percorso a tappe per elaborare il vissuto. È stato un percorso di gruppo in cui la storia di ciascuno è diventata una narrazione comune. Il gruppo è, infatti, diventato una comunità, una identità collettiva. La conoscenza di sè è stata occasione di confronto con gli altri», ha spiegato Gea De Tommasi, psicologa progetto "Dal mio punto di vista".

«I partecipanti hanno usato il loro telefonino con alcune dritte tecniche. Le foto sono in bianco e nero perchè credo che preservino un racconto più autentico. Il gruppo – ha spiegato la fotografa Simona Calabrò - ha voluto una sola foto a colori, quella dell’Albero, simbolo della vita e della rinascita. Una scelta che testimonia come la fotografia sia stata in grado di far emergere gli errori e rimpianti di una vita ma anche la sua bellezza».

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Nel reggino 1800 persone in esecuzione penale esterna

«Il nostro Ufficio – ha spiegato ancora Marianna Passalacqua, dirigente Udepe Reggio Calabria – si occupa delle pene eseguite fuori dal carcere, in particolar modo di persone in affidamento in prova e in detenzione domiciliare. Ma l’Ufficio si occupa anche di persone in messa alla prova o destinatarie di sanzioni sostitutive.

Le nostre competenze del tempo si sono ampliate con un fil rouge che è sempre quello dell'esecuzione che viene svolta fuori dal carcere, l'esecuzione penale esterna, extramuraria. Questa oggi ha grandi prospettive e rappresenta il futuro. Come ufficio abbiamo al momento carico nel territorio metropolitano reggino 1800 persone.

Gli affidati in prova sono le persone che hanno già avuto la condanna e devono eseguire la pena. Diversi sono coloro in messa alla prova, per i quali l'ordinamento prevede la possibilità di sospendere il procedimento e svolgere un programma che obbligatoriamente comprende i lavori di pubblico utilità, al termine del quale il reato si potrà estinguersi.

Sovrintende all'esecuzione penale esterna sempre il tribunale di Sorveglianza. Noi siamo delegati come ufficio dallo stesso tribunale a supportare, seguire e dare esecuzione a questa pena fuori dal carcere, che è pur sempre una pena. La persona – ha spiegato ancora Marianna Passalacqua, dirigente Udepe Reggio Calabria – è, infatti, soggetta a una serie di restrizioni, deve seguire determinate regole ed è controllata dai carabinieri di notte. La persona è anche supportata in un percorso di reinserimento sociale attraverso assistenti sociali, pedagogisti, psicologi e attraverso i nostri progetti finalizzati a sostenere il percorso di revisione critica».

Reinserimento sociale nella comunità con la comunità

«L'articolo 27 della nostra Costituzione prevede che la pena, quella in carcere e anche quella fuori dal carcere, debba avere come contenuto la rieducazione. Le misure alternative alla detenzione, previste dalle legge e alle quali si può accedere con specifici requisiti sia da liberi che dal carcere, sono varie.

Questo progetto fotografico è rivolto alle persone sottoposte a misure alternative e quindi ad affidati e detenuti domiciliari.

Esso rientra nella nostra ricca attività progettuale che spazia dal teatro al cinema e alle ricerche all'archivio di stato. C'è poi il percorso psicologico e il sostegno genitoriale. Tutto orientato al reinserimento sociale.

Invitiamo, pertanto, la cittadinanza a venire a vedere questa mostra perché la comunità deve supportare, condividere stare insieme alle persone che stanno facendo questo percorso, che stanno scontando la pena in questo territorio», ha concluso Marianna Passalacqua, dirigente Udepe Reggio Calabria.