Del “bene comune” e dintorni, Cuzzola: «Declinato in chiave utilitaristica, il rischio è che il cittadino non ci creda più»
Dovrebbe essere il cuore della democrazia, ma oggi appare un concetto sempre più sfocato
«Molti politici e amministratori locali evocano con facilità il “bene comune” come faro della propria azione. Ma questo concetto, che dovrebbe essere il cuore della democrazia, appare oggi sempre più sfocato, quasi un involucro retorico utile a giustificare decisioni già prese altrove.
La sensazione diffusa – e spesso confermata dai fatti – è che il “bene comune” venga tradotto in chiave strettamente utilitaristica: conservare posizioni ben retribuite e di prestigio, consolidare reti di consenso, accontentare i propri stakeholder (portatori di interessi), cioè coloro che garantiscono sostegno elettorale.
La politica diventa così un servizio personalizzato, dove il decisore, invece di interpretare l’interesse generale della collettività, si trasforma in rappresentante diretto degli interessi particolari di gruppi, comitati, cerchie di influenza. E più si restringe lo spazio degli ideali politici, più si allarga quello delle convenienze.
Non è un caso che le assemblee elettive assomiglino sempre meno a luoghi di confronto sul futuro della comunità e sempre più a tavoli di compensazione tra portatori di interesse organizzati. Una sorta di Parlamento degli stakeholder, dove il voto non è un mandato fiduciario ma quasi un contratto di servizio: tu mi voti, io porto avanti le tue istanze.
È legittimo chiedersi, allora, se il modello democratico così come lo abbiamo conosciuto sia ancora capace di produrre decisioni orientate all’interesse generale.
Forse è arrivato il momento di ripensare seriamente la democrazia rappresentativa, non per demolirla ma per rigenerarla. Per ridefinire il concetto di “bene comune” e riportarlo dentro istituzioni che oggi sembrano, troppo spesso, prigioniere di micro-interessi territoriali, personali o elettorali, incapaci di guardare oltre il perimetro del prossimo turno di voto.
In fondo, una democrazia che non sa più distinguere tra interesse collettivo e interesse di parte rischia di svuotarsi dall’interno. E quando il “bene comune” diventa un concetto retorico, il rischio è che il cittadino smetta di crederci davvero».
*Enzo Cuzzola Docente Economia delle Aziende Pubbliche Mediterranea