Dress code a scuola: jeans strappati, hot pants e unghie lunghe finiscono nella lista nera. I presidi lanciano regole per alunni e docenti
Altro che primo giorno di scuola con diari nuovi e penne colorate: a inaugurare l’anno scolastico 2025/2026 ci pensano le circolari sul dress code. Ogni settembre si ripete lo stesso copione: i presidi richiamano al “decoro”, alla “sobrietà”, al “buon senso”. Quest’anno però, in molti istituti, non bastano più le parole: arrivano manuali grafici, depliant illustrati e regolamenti dettagliati che trasformano i corridoi scolastici in una passerella da controllare centimetro per centimetro.
Il più discusso arriva da Taormina, all’istituto “Pugliatti”, dove la preside ha diffuso un vademecum illustrato: promossi t-shirt, polo, felpe, camicie di flanella e persino tuxedo da sera; bocciati invece top, shorts, minigonne, jeans strappati, leggins troppo aderenti, trasparenze, tacchi vertiginosi e ombelichi scoperti. Via libera invece a pantaloni a zampa, camicette gipsy e kilt. Una sorta di manuale di sopravvivenza per famiglie e docenti, chiamati spesso a improvvisarsi stylist all’ingresso della scuola.
La linea dura non si ferma alla Sicilia. A Ugento, nel Leccese, la circolare scritta in maiuscolo non lascia scampo a nessuno: “DOCENTI, PERSONALE DI SEGRETERIA, COLLABORATORI” devono rispettare il codice insieme agli studenti. «Il rispetto dell’istituzione passa anche attraverso il modo di vestire», recita il documento. E a Salerno un istituto ammonisce: «La scuola non è un villaggio turistico», bandendo pantaloncini sopra il ginocchio, canottiere e ciabatte.
A Pisa il liceo Matteotti è netto: «Vietati pantaloncini e top, di qualsiasi misura». Stop totale. Più elastica la preside del Giovanni da San Giovanni di Firenze, che d’estate concede una deroga: pantaloni corti fino al ginocchio, «un gesto di pietà» per chi suda a giugno sui banchi.
Il tema si estende anche all’attività fisica. A Casale Monferrato il Cesare Balbo vieta occhiali da sole in palestra, mentre ad Alcamo si sconsiglia perfino l’uso di quelli da vista durante le ore di educazione fisica. A Pomigliano d’Arco la regola è di sicurezza: «Banditi zeppe e tacchi troppo alti, in caso di evacuazione possono diventare un rischio».
Nel mirino finiscono anche piercing e unghie: a Partinico si vietano piercing all’ombelico e unghie chilometriche; a Varese si fissano persino limiti precisi – non oltre mezzo centimetro oltre il dito – almeno nei laboratori scientifici. Ovunque, quasi senza eccezioni, vietati cappelli e cappucci in aula, anche per impedire l’uso nascosto di auricolari, salvo che per motivi religiosi o di salute.
Le sanzioni
E chi non rispetta le regole? A Civitavecchia “tutto il personale” vigila sugli ingressi, a Priverno è prevista la nota sul registro per abiti succinti, a Siracusa al Quintiliano si arriva all’allontanamento. «Non si tratta di centimetri di pelle scoperta – scrive la preside – ma della consapevolezza che ogni luogo richiede specificità estetiche e di immagine».
Secondo un sondaggio di Skuola.net citato dall’Ansa, quasi il 30% degli studenti ammette di dover controllare ogni giorno il proprio abbigliamento per evitare richiami; oltre la metà riceve raccomandazioni esplicite sul vestirsi in modo “adeguato”, mentre solo un 20% dichiara libertà totale.
Un sistema fatto di divieti ed eccezioni che genera anche episodi curiosi: al Marconi di Civitavecchia le canotte restano vietate per tutti… tranne per chi ha un braccio ingessato. L’unico vero lasciapassare, in un panorama in cui ogni centimetro di stoffa diventa materia di circolare.