Emergenza carceri in Calabria: sovraffollamento, collusioni e diritti negati. Angela Napoli: «Serve un indirizzo politico unitario e volontà concreta»
Un sistema al collasso che, secondo l’ex deputata, rischia di vanificare la funzione rieducativa della pena e di alimentare il potere delle organizzazioni mafiose anche dietro le sbarre
Giunto al quinto appuntamento dello speciale sull’emergenza carceri in Calabria, l’approfondimento dà voce all’onorevole Angela Napoli, ex parlamentare e membro storico della Commissione Antimafia, per oltre vent’anni sotto scorta per le sue denunce contro la ’Ndrangheta. Napoli analizza una situazione definita «incandescente da tempo», denunciando il sovraffollamento cronico, la carenza di personale e psicologi, le collusioni interne e l’assenza di strutture sanitarie adeguate. Un sistema al collasso che, secondo l’ex deputata, rischia di vanificare la funzione rieducativa della pena e di alimentare il potere delle organizzazioni mafiose anche dietro le sbarre.
«Non parlerei di una situazione incandescente solo adesso – spiega Angela Napoli – ma di un’emergenza che va avanti da anni. Ogni volta che accade un episodio grave si promettono soluzioni, ma poi tutto torna come prima». L’onorevole denuncia la mancanza di interventi strutturali: dai suicidi in carcere, che nel 2025 hanno già superato quota 60, alla carenza di psicologi e personale qualificato, fino a un sovraffollamento che in alcuni istituti «raggiunge livelli insostenibili». «La soluzione non è l’amnistia o l’indulto – afferma – ma la costruzione e l’ampliamento di strutture adeguate, perché il diritto alla pena non può trasformarsi in una condizione disumana».
Napoli non nasconde le proprie preoccupazioni sulle collusioni interne: «Non solo tra detenuti, ma anche tra detenuti e personale, talvolta persino a livelli dirigenziali». Una denuncia che si intreccia con un’altra realtà inquietante: i boss che continuano a comandare anche dal carcere. «È impensabile che un capo della ’Ndrangheta perda il controllo del suo territorio. Le comunicazioni avvengono in mille modi: tramite familiari, avvocati, persino attraverso telefoni e droni che entrano negli istituti. Mancano i controlli, manca la volontà di impedire tutto questo».
Un altro aspetto critico è quello della sanità carceraria, che Napoli definisce «un vero nodo dolente». Pur riconoscendo alcune eccellenze, l’ex parlamentare sottolinea che «la mancanza di strutture adeguate e di personale sanitario rende difficile garantire cure dignitose ai detenuti». Tuttavia, avverte: «Non sempre chi dichiara di non poter restare in carcere per motivi di salute dice il vero. Ci sono strutture interne migliori di molte esterne. Serve equilibrio e trasparenza».
Napoli pone l’accento sulla funzione costituzionale della pena: rieducare il detenuto. «Se un boss continua a impartire ordini dal carcere, se i detenuti fragili vengono soggiogati dai più forti, allora quella funzione è perduta. Servono regole, controlli, una sorta di anti-‘ndrangheta penitenziaria’ che protegga chi vuole davvero cambiare vita».
Alla domanda sulle soluzioni concrete, Napoli è chiara: «Serve un indirizzo politico unitario, oggi completamente assente. C’è chi parla solo di rieducazione, chi di punizione esemplare. Finché la politica resterà divisa, ogni proposta sarà inefficace. La pena deve essere certa, ma anche dignitosa e utile al riscatto di chi la sconta».
Sul piano personale, l’onorevole, che ha vissuto 22 anni sotto scorta per la sua attività contro la ’Ndrangheta, non nasconde la preoccupazione per il ritorno in libertà di molti boss:
«I boss non dimenticano. Ma io continuo a credere nella libertà e nella legalità. Ho vissuto anni difficili, ho rischiato la vita, ma non ho mai smesso di denunciare. Perché fingere di non sapere è già una forma di complicità».
Le parole di Angela Napoli restituiscono il quadro di un sistema penitenziario calabrese – e nazionale – al limite del collasso, dove emergenze strutturali, carenze umane e connivenze interne minano la giustizia e la sicurezza collettiva. Una denuncia lucida che richiama la politica alle proprie responsabilità: trasformare l’indignazione in azione concreta, per restituire al carcere la sua funzione civile, non solo punitiva ma anche rieducativa.