Generazione ansia, quando l’adolescenza è un incubo dal quale molti adulti non si sono mai svegliati
È un muro di silenzio e indifferenza quello con cui sono costretti a fare i conti ogni giorno. «Generazione persa. Non siete buoni a niente. Falliti». È con questo genere di affermazione che ogni giorno centinaia di adolescenti devono fare i conti. Adulti probabilmente non educati alla genitorialità che seminano insicurezza proprio in chi dovrebbero rendere sicuri: i figli. Chiedono solo di essere ascoltati, in fin dei conti, eppure, presi dalla frenesia e dai ritmi martellanti del lavoro, gli adulti a questi ragazzi dedicano davvero poca attenzione.
Quello che non sappiamo è cosa ci stiamo perdendo nell’ignorarli. Se solo ci soffermassimo ad ascoltarli, se li guardassimo anche solo per pochi minuti, ci accorgeremmo di quanto hanno da dare. Sì, proprio loro. La generazione che per molti non ha speranza di salvezza in realtà ha dentro un mondo meraviglioso che attende solo di essere tirato fuori. Lo spiegò Socrate con la sua maieutica, quale approccio avere con i giovani da educatori: stimolarli a liberarsi delle false credenze e a “tirare fuori” i propri pensieri per raggiungere la verità. Aiutarli a tirare fuori il meglio di sé.
Ma, facendo uno sforzo introspettivo di autocritica, quanti adulti, ognuno nella sua funzione di genitore, insegnante, educatore, amministratore, ha davvero almeno tentato di tirare fuori il meglio dai giovani con cui si approccia giornalmente? In piena sincerità, ne verrebbe fuori un bilancio misero. Siamo tutti presi da un tran tran che non consente “distrazioni”. E non ci si rende conto che nulla ha senso se non viene seminato in loro. E ogni cosa che ci sembra un traguardo raggiunto, se non lo seminiamo nei ragazzi che ci osservano (loro sì che lo fanno), è un seme destinato a non dare frutto.
Metafore a parte, l’adolescenza è un incubo dal quale molti adulti non si sono mai svegliati. E troppo spesso l’assenza di una definizione dei ruoli disorienta i veri adolescenti, che ritrovano nei genitori dei “forzati” teenagers, modelli che non imiterebbero e dai quali fuggono.
E allora, per riprendere il “modello socratico”, probabilmente sarebbe necessario mettersi in ascolto. Fermarsi un attimo e guardare a quella generazione Z e vedere oltre le trasgressioni (fisiologiche dell’età evolutiva) e aiutarli a non perdersi nei meandri della crescita. Un periodo fatto di cambiamenti, l’adolescenza, che, se affrontato da soli, rischia di sfociare in un vortice di espressioni distorte: violenza, rabbia, aggressività e ansia, troppa. Emozioni e sensazioni che non riescono a controllare e gestire perché nessuno ha mai dedicato loro il tempo necessario per insegnargli come fare.
Etichettarli poi come “persi” a cosa serve, se non ad ammettere un nostro fallimento? No, non sono persi. Dobbiamo solo riprendere in mano il nostro ruolo di esempio. Pensare che ogni nostra azione loro la “osservano”. Da noi adulti imparano a vivere. Da noi imparano a gestire le difficoltà senza andare in ansia e a sopravvivere alle storture di questo mondo senza necessariamente venire travolti o incattiviti. Dovrebbe essere questa la sfida: mettere una fine alla spirale d’odio e violenza e insegnare ai piccoli che con gentilezza possono provare a guardarsi dentro, ad accettarsi e a diventare un adulto migliore di noi.