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07/12/2025 ore 06.30
Società

Più scali esteri tocchi meno paghi, la deriva tariffaria dei cieli nostrani per raggiungere la Calabria

Passando da Belgio, Polonia, Germania o Spagna, per un Milano-Reggio si risparmiano fino a 300 euro: così il rientro a casa diventa un'epopea da viaggio intercontinentale, mentre i voli diretti restano completamente inaccessibili a studenti, famiglie e ceto medio

di Silvio Cacciatore

Natale si avvicina e le tratte fra Milano e la Calabria diventano un osservatorio perfetto per capire come funziona – o come non funziona – il mercato aereo italiano. Basta scorrere i prezzi di questi giorni per ritrovarsi davanti a un cortocircuito che sfida ogni logica commerciale: per raggiungere Reggio Calabria volando da Milano, conviene uscire dall’Italia, passare da Belgio, Polonia, Germania o Spagna, e poi rientrare. Il tutto a un prezzo che è spesso la metà, talvolta un terzo, del costo di un volo diretto nazionale.

I dati raccontano tutto. Sulla Milano–Reggio, Ryanair propone collegamenti con scalo a Charleroi, Berlino, Barcellona o Katowice compresi fra 91 e 146 euro, con durate che oscillano dalle sei ore fino a casi-limite in cui l’attesa sfiora le ventidue ore. Quasi una giornata intera da trascorrere in un aeroporto europeo – o, per chi volesse ribaltare il paradosso, da utilizzare per una passeggiata nel centro di Berlino o un giro veloce a Bruxelles, trasformando un trasferimento in un mini viaggio turistico. Un’assurdità solo apparente: alla fine, il totale del biglietto resta comunque inferiore a quello dei voli diretti.

I collegamenti senza scalo, infatti, dipingono uno scenario ben diverso. Ryanair oscilla tra 186 e 281 euro, con una forbice che si allarga nel fine settimana. Ma è ITA Airways a far saltare definitivamente i riferimenti: il diretto da Linate supera 499 euro in più giorni consecutivi, arrivando a lambire la cifra anche nei casi in cui è disponibile un’unica opzione. Quando non c’è posto sul diretto, le alternative diventano ancora più surreali: itinerari via Fiumicino a parità di prezzo e perfino soluzioni con doppio scalo a 773 e 981 euro. Prezzi che ricordano più una transoceanica di media distanza che non un collegamento interno fra il Nord e la punta estrema del Paese.

E il paradosso non riguarda solo Reggio Calabria. Anche Lamezia Terme, l’aeroporto più trafficato della regione, soffre la stessa deriva tariffaria: il diretto ITA si attesta intorno ai 499 euro per più giorni consecutivi, e quando salta la disponibilità entrano in gioco combinazioni ancor più complesse, con prezzi che restano sorprendentemente allineati a quelli del Tito Minniti. Discorso identico per i collegamenti con scalo, spesso lunghi, macchinosi ma comunque più convenienti del diretto.

Sul fondo resta un dato strutturale che amplifica la distorsione. Lo scorso Natale ITA volava con tre aeromobili al giorno sulla Milano–Reggio. Oggi ne utilizza uno solo. La capacità è stata ridotta drasticamente proprio nel periodo dell’anno in cui la domanda cresce. La conseguenza è visibile sullo schermo: prezzi che lievitano, disponibilità frammentarie, tratte nazionali diventate improvvisamente beni di lusso.

La fotografia che emerge è lineare e inquietante allo stesso tempo. In un Paese che teorizza la continuità territoriale, il mercato offre il più assurdo dei paradossi: per tornare a casa a Natale conviene fare scalo all’estero, non volare diretto in Italia. Una condizione che penalizza sistematicamente chi vive lontano, chi deve rientrare in Calabria per ricongiungersi alla propria famiglia, e chi si affida al trasporto aereo come unico mezzo realmente efficiente su distanze così ampie.

L’assurdo diventa evidente proprio quando si prova a razionalizzarlo. La tariffa più cara è quella che dovrebbe essere più semplice, più lineare, più naturale: il volo diretto. La tariffa più economica è quella che costringe il passeggero a girare l’Europa, ad attendere ore in aeroporti secondari, a reinventarsi un itinerario impossibile per rientrare in una delle tre regioni italiane col più alto tasso di emigrazione interna. Un’anomalia che si ripete ogni inverno e che, quest’anno, assume proporzioni che sfidano ogni buon senso.

Ed è qui che il paradosso smette di essere solo una stranezza tariffaria. Diventa un segnale d’allarme. Un’Italia che fatica a collegare il proprio Sud non è solo un Paese con un problema di trasporti: è un Paese che accetta una distanza artificiale, costruita più dai listini che dai chilometri. Una distanza che pesa sulle famiglie, sulle opportunità, sulla possibilità stessa di sentirsi parte di un unico spazio nazionale.