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12/06/2024 ore 08.30
Società

Locride, l'atto di amore di Angela Casella che sfidò l'anonima sequestri calabrese per liberare il figlio Cesare

Era il 12 giugno 1989 quando Mamma Coraggio, come le donne calabresi l'avevano battezzata, si incatenava nella piazza di Locri. Uno dei più lunghi sequestri di persona avvenuti in Italia, durato 743 giorni
di Anna Foti

(Foto – Rai Ufficio Stampa) – Cosa potrebbe mai fermare l’amore di una madre di fronte alla separazione violenta da un figlio, di fronte al suo esilio forzato, di fronte a un’ingiustizia perpetrata da un nemico invisibile e a un distacco insostenibile? Non la paura, non la distanza, non l’ignoto. Nulla. Di mamme coraggio ce ne sono tante ogni giorno, in ogni angolo del mondo, ma oggi vi raccontiamo la storia della mamma coraggio che così fu battezzata dalle donne della Locride che il 12 giugno di 35 anni fa videro arrivare.

Angela Casella, era una donna esile ma tenace. La sua tempra di spirito sorprendente al punto da sciogliere l’iniziale diffidenza delle altre donne e delle altre madri in affettuosi abbracci, in un’accorata vicinanza, in una voce che si è levata unanime per le strade. Quella battaglia solitaria diventò di tutte le madri della Locride e oltre.

L’Anonima sequestri calabrese

Un gesto dirompente che, dopo il sequestro di Paul Getty nel 1973, accese nuovamente l’interesse dei media per i sequestri. Tra gli anni Sessanta e gli anni Novanta con il picco tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, furono 694 i sequestri con un giro d’affari di 800 miliardi di vecchie lire, di cui oltre la metà appannaggio della ‘ndrangheta.

Mamma Coraggio era Angela (all’anagrafe Angiolina) Montagna Casella che all’esilio forzato del figlio Cesare, rapito a Pavia il 18 gennaio 1988, rispose con un dirompente gesto di ribellione civile. Negli anni duri di quella ‘ndrangheta che neppure si nominava, nelle piazze di Platì, Ciminà e San Luca, non ebbe a temere l’omertà. Non avrebbe rinunciato a lottare per riportare suo figlio a casa. Ma ancora avrebbe dovuto attendere.

Cesare Casella venne rilasciato a Natile di Careri nel reggino, il 30 gennaio 1990, dopo 743 giorni di prigionia, oltre due anni. Una vicenda diventata anche un libro e in film che fece scuola in vista della promulgazione della legge numero 82 del 1991 sul blocco dei beni delle persone sequestrate, del coniuge e dei parenti, affini e conviventi.

La protesta di una madre: dalla Lombardia alla Calabria

Difficile dimenticare quel cartello sul suo petto: «Mio figlio è incatenato così da 510 giorni». Lo aveva scritto, lo aveva denunciato scendendo fino nei paesi della Locride dove suo figlio era in ostaggio dell’anonima sequestri calabrese. Era direttamente collegata alla ‘ndrangheta, che usualmente riciclava i soldi dei riscatti reinvestendoli in sostanze stupefacenti, preludio della dimensione di holding internazionale incontrastata di droga che oggi è.

Un’eroina civile involontaria, e per questo autentica, in un’Italia in cui la mala pianta mafiosa ormai aveva messo radici e si apprestava ad esportare il suo malaffare in tutti i continenti. Un’Italia ancora scossa il dibattito fra linea dura (o della fermezza) e linea morbida (o della trattativa) che segnarono l’epoca del sequestro Moro ad opera delle Brigate Rosse.

L’Italia di allora

In un contesto internazionale segnato dalla caduta del Muro di Berlino (9 novembre 1989), da arresto ed l’esecuzione (25 dicembre) del dittatore rumeno Nicolae Ceaușescu. Dunque, in un’Europa giovane al momento della svolta determinata dalla Rivoluzione di Velluto nei paesi dell’Est che si liberano dai regimi comunisti.

Cesare Casella fu tenuto prima in un garage vicino la stessa Pavia e poi trasferito in Aspromonte. Nell’agosto del 1988, il padre Luigi, proprietario di una concessionaria automobilistica, e il fratello minore Carlo scesero in Calabria per la consegna del denaro, un primo riscatto di 1 miliardo di vecchie lire, pattuito rispetto agli otto iniziali. Cesare, però, non fu liberato, e le trattative proseguirono fino a quando la banda ne pretese 5 di miliardi. Era il giugno del 1989 ed erano già trascorsi 17 mesi dal rapimento. Fu allora che Angela Casella decise di lasciare la Lombardia per scendere in Calabria, avvicinarsi a Cesare e smuovere le coscienze.

La battaglia inizialmente in solitaria

Una sfida durissima, la militarizzazione dell’Aspromonte, l’arresto del boss di San Luca, Giuseppe Strangio, precedettero la liberazione di Cesare a Natile di Careri nel gennaio del 1990, dopo dopo 743 giorni di prigionia. Il sequestro più lungo dopo quello del vicentino Carlo Celadon ostaggio per 831 giorni, rapito una settimana dopo Cesare e liberato nel maggio del 1990.

Le tane, come poi le avrebbe definite nel suo libro, erano lunghe due metri, larghe uno, e alte uno e mezzo, ai piedi di un albero alla cui base erano assicurate le catene da legare alla caviglia e al collo della vittima. Le pareti erano foderate da un muro di sassi. Sopra, una lamiera ricoperta di foglie. Tutto questo Cesare avrebbe poi raccontato.

Angela Casella è spenta nel 2011, circondata dalla sua famiglia e accanto anche a quel figlio che gli era stato tenuto lontano per 743 lunghissimi giorni, circa due anni, quando neppure era ventenne.