Omaggio a De Grazia a Scilla, i figli Giovanni e Roberto: «Sulla navi della Marina Militare ritroviamo la dolcezza del ricordo di papà»
«L‘avvio dell’iter di intitolazione del porto di Scilla e l‘omaggio che la nave scuola Palinuro ha voluto rendere alla memoria di mio padre sono iniziative veramente molto gradite. Nostro padre, in quanto ufficiale della Marina, aveva un legame particolare con queste navi e con i suoi equipaggi. Dunque, essere a bordo della nave Palinuro è un onore e un piacere. Ringraziamo le associazioni che ci hanno, altresì, onorano dell’iniziativa lodevole di intitolare a papà il porto. Che il tutto abbia in qualche modo avuto anche il suggello della Marina Militare, ci inorgoglisce particolarmente». Così Giovanni De Grazia, figlio maggiore del capitano di Fregata della Marina Militare, Natale De Grazia, ieri omaggiato a bordo della nave scuola Palinuro con il lancio in mare di 29 fiori bianchi come gli anni trascorsi dalla sua prematura scomparsa. Sulla nave con lui anche la moglie Annalisa con la figlia Diana e il fratello Roberto.
L’iniziativa fa il paio con il recente avvio dell’iter di intitolazione del porto di Scilla che, promosso dall’associazione Magna Graecia Outdoor e dalla sezione di Scilla dell’associazione nazionale Marinai d’Italia (Anmi), può già contare su una delibera della commissione straordinaria alla guida in questo momento dell’amministrazione comunale di Scilla.
Il mare da difendere
«A noi sta a cuore ciò che avrebbe voluto mio padre, ossia che fosse utile per non dimenticare mai che il mare è la vita e che come tale va preservato e difeso dall’inquinamento selvaggio di questo nostro tempo, segnato da disastri e da guerre. È necessario quindi trovare un equilibrio sopra tutta questa follia». Così Roberto, figlio minore del capitano di fregata Natale De Grazia.
Una morte ancora piena di interrogativi
Giovanni aveva solo dieci anni, e suo fratello Roberto otto, nel 1995 quando suo padre, elemento di punta del pool che con il procuratore Francesco Neri indagava sugli affondamenti di navi con carichi sospetti anche nei mari calabresi, partì alla volta della Spezia per motivi di indagine senza fare più ritorno. Fu colto da infarto. Una morte improvvisa per un trentanovenne prestante e in ottima salute che indagava su questioni spinose e scomode: le cosiddette “navi a perdere”.
«In occasioni come questa noi riviviamo il percorso la vita e l’estremo sacrificio di nostro padre, la sua morte rimasta piena di interrogativi. Dobbiamo tanto alla Marina Militare e alla Capitaneria di Porto che non hanno mai permesso che mio padre fosse dimenticato. Sono rimaste sempre vicine a noi, perorando la nostra causa complicata e dai risvolti oscuri, implicata in misteri e intrighi internazionali mai svelati a pieno e mai chiariti. Tanto è stato scritto ma ciò che è sempre mancato è stato l’interessamento da parte della politica e di tutte le istituzioni coinvolte.
Faccio solo un esempio, che però dà la cifra di quanto la storia di mio padre, e crediamo anche la sua morte, siano stati singolari: abbiamo dovuto aspettare 20 anni prima che lui fosse riconosciuto vittima del dovere. Venti anni. Un’attesa insolita e dobbiamo ringraziare sempre la Marina per essersi interessata della vicenda più della famiglia stessa. Se già una verità del genere emerge dopo vent’anni – prosegue il figlio Giovanni – purtroppo è lecito immaginare che dietro la sua morte ci sia molto di non detto ancora oggi. Un vaso di Pandora il cui coperchio è stato appena appena sollevato».
«Vorrei anch’io sapere. Tutti i giorni vorrei sapere chi o chi per conto di chi abbia tenuto le fila di tutta la vicenda. Penso si tratti di cose molto più grandi di noi che quasi certamente non sapremo mai». Così anche Roberto che di anni ne aveva otto quando ha dovuto fare i conti la dolorosa e dura realtà di dover crescere senza suo padre. Un padre che in entrambi ha lasciato un ricordo luminoso.
Sorridono, Giovanni e Roberto, quando ne parlano. Sorridono, nonostante tutto, perché sanno chi era il loro papà. Un uomo integro e libero, pronto a difendere, anche per loro e per le generazioni future, il mare e l’ambiente.
I ricordi d’infanzia
«Quando eravamo molto piccoli – racconta Giovanni – papà ci portava su queste imbarcazioni della Marina. Io ne riconosco l’odore che è quello che ho ritrovato qui sulla Palinuro unitamente a un’area di famiglia, un’area di casa che ci piace ritrovare ogni tanto proprio per sentire la dolcezza di questo ricordo di papà.
Mi ha trasmesso l’amore per la natura – racconta il figlio Giovanni – il rispetto per ogni forma di vita e la necessità di tutelarla sempre, stando attenti e avendo cura nella quotidianità. Questo cerco di trasmettere anche a mia figlia Diana».
«Mi portava sempre sulle sue spalle sui massi. Non temeva nulla. Papà era così. Anche per me – racconta Roberto – questo odore di legno è familiare. È la mia infanzia. Percepisco che mio padre non ha lasciato a noi degli insegnamenti importanti. Anche nella Marina ha lasciato una impronta indimenticata. Quando siamo stati invitati sapevo che salendo qui avrei ritrovato la mia infanzia. Meraviglioso.
In occasioni come queste ci spingiamo sempre indietro nel tempo fino a quando abbiamo perso nostro padre. Abbiamo sempre avuto con noi il suo esempio, la sua eredità fatta di impegno, deduzione e amore per la natura. Ci ha trasmesso – conclude il figlio Roberto – la consapevolezza che lui ha incarnato con la sua vita: combattendo per quello che pensi sia effettivamente giusto, puoi sacrificare anche la vita».