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21/11/2025 ore 11.00
Società

Quando il linguaggio si fa violenza psicologica, la testimonianza di Simona Scarcella è un pugno allo stomaco

La sindaca di Gioia Tauro denuncia ancora una volta l'ondata ininterrotta di odio e minacce a cui è sottoposta, raccontando in pubblico, durante l'evento Mai Più Sola, la sua battaglia fatta da quindici denunce, anni di violenza verbale e un messaggio potente sulla necessità di proteggere le donne prima che sia troppo tardi

di Elisa Barresi

C’è un silenzio denso nella sala di Mai Più Sola quando Simona Scarcella, sindaca e madre, prende la parola. Non legge, perché — dice — «chi mi conosce lo sa: in genere dico ciò che sento». E ciò che sente, ciò che porta davanti a tutte e tutti, è il peso devastante di una violenza che nasce e cresce nel linguaggio, nella quotidiana ferocia delle parole.

Una violenza che, spiega, lei ha subito — e subisce — da anni. Un’unica persona, ossessiva, instancabile, che, racconta la sindaca, ha trasformato i social in una raffica continua di insulti, minacce, derisioni. E lei oggi sceglie di ricordarli non per vittimismo, ma per mostrare cosa significhi davvero essere bersaglio di una persecuzione verbale. «La violenza psicologica uccide più di una pistola, più della lama di un coltello. È capace di demolire la più forte delle donne», dice.

L’elenco degli appellativi che le vengono rivolti è interminabile, crudele. «Sindaca bugiarda. Sindaca blasfema: “dovrebbero cacciarti anche dalle chiese”. Sindaca delinquente. Sindaca “moglie di delinquenti”. Sindaca schizofrenica, pazza, paranoica, malata mentale. Sindaca prostituta. Sindaca dittatrice. Sindaca capobastone. “Vomito della Calabria”. “Papessa di Satana”. “Crudelia De Mon”. “Carnefice più falsa della banconota da 27,50 euro”».

E poi il body shaming: «sindaca nana, alta un metro e una vigorsol». E gli insulti sessisti, irripetibili, che lei stessa chiede scusa per aver pronunciato. Ma soprattutto, le minacce: «Ti farò pentire di essere nata», «Ti farò trovare circondata da militari e polizia, ma non come vuoi tu», «Bevi l’acido muriatico». Di fronte a questo, Scarcella non parla solo da amministratrice, ma da madre: «Perché i miei figli, che hanno 24 e 19 anni, devono leggere tutti i giorni queste cose sulla loro madre?»

Eppure, nella sua voce non c’è paura. «Premesso che io non ho paura… sono una donna fortunata: ho una rete familiare e amicale solida. Non esco mai da sola: il mio vicesindaco viene con me anche quando non dovrebbe, perché ha paura di lasciarmi sola».

La sindaca tenta persino un gesto di umanità ma la comprensione non può essere una condanna al silenzio. E allora Scarcella continua a denunciare: infatti lunedì ha depositato la quindicesima denuncia. «Esiste un compendio normativo che dovrebbe portare a una misura cautelare. Un Daspo urbano, un allontanamento, un braccialetto elettronico. Qualcosa che restituisca dignità non solo a me come donna, ma anche alla mia fascia tricolore».

Perché non è solo Simona a essere insultata: è l’istituzione. «È un vilipendio continuo», afferma. Anche quando lui promette: «Anche dietro le sbarre ti tormenterò». Ma almeno, con lui dietro le sbarre, lei e i suoi figli potrebbero sentirsi al sicuro.

E proprio ai figli rivolge le sue parole più dure e più piene d’amore: «Spero di poter dire un giorno ai miei figli che si sbagliano. Ieri mi hanno guardata dicendomi tutto, in silenzio: “Vedi? Nessuno ti aiuterà”. Io voglio smentire quel pensiero».

La sua testimonianza arriva in un giorno simbolico: quello in cui il Governo riconosce finalmente, senza ambiguità, che senza consenso è stupro. Un passo avanti atteso da anni, una riforma che parla di dignità, di diritti, di ascolto. Ed è difficile non vedere il filo che lega questa conquista alle parole della sindaca.

Perché la violenza non comincia con il sangue. Comincia con il linguaggio. Con la denigrazione. Con l’isolamento. Con l’ossessione. Con lo stalking ignorato. Con la normalizzazione dell’insulto. Simona Scarcella lo ricorda con lucidità e coraggio: «La violenza psicologica può uccidere. La denuncia salva la vita delle donne. E io continuerò a denunciare fino all’ultimo». La sua voce resta sospesa nella sala. Ed è impossibile non pensare che, ascoltandola, non sta parlando solo di sé: sta parlando di tutte. Di ogni donna che chiede di essere protetta prima, non dopo.