Reggio, il ricordo di Paolo Borsellino e della sua scorta ispira i detenuti del carcere di San Pietro: così la memoria diventa speranza - VIDEO
Cresce l’ulivo piantumato due anni fa proprio per ricordare il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta, Agostino Catalano e dagli agenti Emanuela Loi (la prima donna componente di una scorta a essere morta in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, morti 33 anni fa nell’infernale esplosione del 19 luglio 1992 in via D’Amelio a Palermo. Cresce in un luogo in cui più forte è il richiamo alla vita e alla speranza perché la libertà che esse nutre è posta a dura prova: il carcere. L’associazione culturale per il Bene Sociale Biesse torna a commemorare il giudice Borsellino a la sua scorta all’interno del giardino realizzato dalle persone detenute dentro il plesso San Pietro dell’istituto penitenziario Giuseppe Panzera di Reggio Calabria.
Alla presenza delle autorità, del personale impegnato all’interno del carcere e di alcune persone detenute, questa mattina un momento di riflessione culminato nella benedizione dell’ulivo da parte dell’arcivescovo di Reggio-Bova, monsignor Fortunato Morrone, e della consegna di omaggi realizzati dalle persone detenute durante le attività trattamentali.
Paolo Borsellino, per non dimenticare
Particolarmente toccante la consegna di un ritratto di Paolo Borsellino realizzato nel laboratorio Nausicaa da Sabrina che, visibilmente emozionata, ne ha fatto dono alla prefetta di Reggio Calabria, Clara Vaccaro. «Siamo grate di partecipare a questa commemorazione per condividere i valori di Legalità, Giustizia e rispetto per le Istituzioni testimoniati da Paolo Borsellino. Ho cercato di trasferire su carta, scegliendo di farlo in chiaroscuro, un passato che ancora fa male ma che non dobbiamo dimenticare».
Di una bellezza straordinaria dei boccioli di rose di sapone realizzati ad arte da un detenuto e donati alle persone intervenute che hanno così portato fuori dal carcere, andando via, quei colori, quella grazia e quella bellezza. Esistono nuove possibilità anche e soprattutto in un luogo di pena che resta, proprio per questo, luogo eletto di speranza.
In pochi attimi, esperienze importanti sono state condivise ed è diventato esso stessa speranza l’incontro tra persone, ritrovatesi per commemorare Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta che così restano vivi nel ricordo, nell’impegno quotidiano di chi si oppone alle mafie, di chi compie il proprio dovere ogni giorno, di chi tocca la vita degli altri insegnando nuove strade e nuove possibilità come fa chi opera dentro le carceri, di chi riscrive la propria esistenza con caratteri nuovi come fanno le persone detenute che comprendono il proprio errore e scelgono di rimediare e ricominciare.
La memoria per educare all’impegno
«Abbiamo scelto di tornare qui in occasione del 33º anniversario della strage di Paolo Borsellino, dove sta crescendo l’ulivo che abbiamo piantumato qualche anno fa. Insieme all’albero cresce anche la speranza perché anche e soprattutto in questi luoghi essa deve essere coltivata. La memoria è un dovere ed è l’unico vaccino contro l’indifferenza. Aver rinnovato la scelta di commemorare qui Paolo Borsellino discende proprio dalla volontà di sottolineare che non può esserci memoria sempre impegno, in questo caso a rinascere facendo propri i valori della legalità e della giustizia. Questo sia il luogo delle nuove opportunità per chi vive recluso, per chi sta scontando una pena che sia concretamente rieducativa». Così Bruna Siviglia, presidente dell’associazione Biesse di Reggio Calabria.
La memoria per innescare il rinnovamento culturale
«Il nostro compito è quello di dare alle persone detenute una nuova prospettiva di vita e la nuova prospettiva di vita passa attraverso un rinnovamento culturale stimolato anche attraverso percorsi di memoria. Avere memoria significa anche comprendere che alcune scelte sono sbagliate e che l’unica via giusta è quella della legalità. La vera libertà sta nel rispetto delle leggi.
Il carcere è una parentesi che discende da scelte sbagliate. Se lo si vuole, tuttavia, si può cambiare. Ciò dipende dalle iniziative che l’amministrazione penitenziaria e la società civile pongono in essere ma dipende ma molto dipende dai detenuti stessi. Ciascun individuo deve comprendere che la libertà è basata sul rispetto delle leggi. Stiamo ragionando sulla possibilità di intrecciare anche un rapporto con le scuole per aprire un dialogo con i giovani, ai quali Paolo Borsellino di rivolgeva in modo particolare, e avvicinare così due mondi che convivono nella stessa comunità, quello della scuola e quello del carcere». Lo ha annunciato Rosario Tortorella, direttore degli istituti penitenziari (plessi San Pietro e Arghillà) Giuseppe Panzera di Reggio Calabria.
Legalità e promozione della bellezza dell’umano
«Aprire questi spazi ai giovani nei tempi e nei luoghi naturalmente possibili aprirebbe a possibilità preziose per scoprire come nei luoghi di detenzione si pratichi la speranza, per guardare oltre le sbarre e scorgere l’umanità di chi sconta la pena e di chi opera per contribuire al riscatto di quell’esistenza. Per vedere cosa sia davvero questo luogo non solo chiusura ma anche uno spazio aperto in cui ricominciare. I nostri ragazzi in modo particolare potrebbe essere una occasione per guardare oltre, aprirsi ad un concetto di responsabilità e libertà che promuovano l’umano.
Paolo Borsellino, e tutto coloro che anche senza essere conosciuti e ricordati hanno sacrificato la loro esistenza per il bene comune, ha dato impulso a un dialogo con i giovani e una cultura veramente diversa, parlando non solo di legalità ma anche di promozione della bellezza dell’umano, ricorrendo alla parola, non solo informativa ma anche performativa, capace di innescare cambiamenti e che certamente definirebbe quella mafiosa, che ha distrutto tutto quanto di umano esista, non un cultura ma una subcultura. Ecco nel ricordo di chi ha difeso e così anche costruito la nostra democrazia, la memoria sia anche occasione di dialogo con i giovani, di dialogo nei luoghi di pena e di rinascita, di dialogo con parole che siano performative e vive». Così monsignor Fortunato Morrone, arcivescovo di Reggio-Bova, durante la benedizione dell’ulivo.
