La Reggina allo specchio: Torrisi scoperchia la verità, ora servono coraggio, responsabilità e identità
L'atto di verità del mister amaranto: la sconfitta svela la «povertà mentale» di una squadra che non regge la pressione del Granillo. Non bastano i rinforzi, servono uomini all'altezza della piazza
C’è un momento, nella stagione di una squadra, in cui non servono più frasi di circostanza, né analisi filtrate, né attenuanti di comodo. Quel momento, per la Reggina, è arrivato. La sconfitta contro l’Athletic Palermo è una di quelle giornate: un punto di non ritorno, un varco oltre il quale nulla potrà più essere trattato con la stessa leggerezza di prima.
Non per il punteggio, ma per quello che il campo – e soprattutto le parole del tecnico Alfio Torrisi nel post partita – hanno messo a nudo. Uno sfogo il suo? Forse. Ma soprattutto un atto di verità.
Perché dire che la squadra è stata « pietosa», che non ha vinto un duello, che al Granillo gli avversari vengono «a fare sfilate», non è semplicemente una rabbia post-partita: è un messaggio chiaro, quasi una dichiarazione di emergenza sportiva e mentale. Torrisi non si è limitato ad elencare ciò che non va: ha fotografato una realtà che tutti, da tempo, avevano sotto gli occhi ma che nessuno aveva il coraggio di mettere in parole.
«Pietosi», «svogliati», «una vergogna», «povertà mentale», «terra di conquista». Non sono parole uscite per caso. Sono la sintesi amara di settimane, mesi, forse anni in cui la Reggina ha costruito un castello di ambizioni senza riuscire a gettare fondamenta solide a livello mentale.
Il crollo mentale prima di quello tecnico
Partiamo dal campo, perché è sempre da lì che si comprendono le dinamiche interne. La Reggina è passata in vantaggio due volte «senza meritarlo», come ha detto lo stesso Torrisi. Una frase pesante, forse persino brutale, ma assolutamente coerente con quanto visto. La squadra ha tremato a ogni pressione avversaria, ha perso costantemente i duelli individuali, ha mostrato una fragilità preoccupante nel gestire il pallone e, soprattutto, ha avuto un atteggiamento rinunciatario nel momento in cui sarebbe servita una reazione.
Quando dopo il 2-3 la squadra ha smesso di giocare, si è capito quale fosse il vero male: non la condizione fisica, non la forma dei singoli, non la disposizione tattica. Il vero problema è la tenuta emotiva, la capacità di soffrire nei momenti in cui il calcio richiede cuore e personalità. Ed è proprio qui che il tecnico ha colpito più duro.
Uno dei passaggi più significativi della conferenza è stata la constatazione che la squadra, durante la settimana, si allena bene, al «mille per mille», per poi crollare alla domenica. In allenamento non c’è la pressione del pubblico, non c’è la paura dell’errore, non c’è la responsabilità della maglia. In partita sì. E se in partita la squadra si scioglie, il motivo è semplice: non regge la pressione.
Significa che il gruppo non è stato costruito tenendo conto del peso ambientale, del bisogno di uomini abituati a lottare e non di giocatori che brillano in condizioni di comfort.
Il Granillo che diventa un fardello
Il dato più inquietante è forse questo: il Granillo, un tempo casa imponente e forza trainante, è ora percepito dalla squadra come un ostacolo. Torrisi lo dice chiaramente: «c’è gente che non può giocare davanti a questo pubblico».
È un’affermazione forte, ma chi conosce Reggio Calabria sa che non è infondata. Qui la maglia pesa, la storia pesa, le aspettative pesano. E quando il rendimento cala, il pubblico pretende. Pretende perché ama, pretende perché soffre.
La Curva Sud, sempre presente, anche nelle difficoltà, ha manifestato un disagio ormai impossibile da ignorare. La contestazione contro patron Ballarino e contro i giocatori non è stata un episodio isolato, ma il culmine di un malcontento che cresce da mesi. Quando i tifosi invitano i giocatori a «togliersi la maglia», significa che il legame simbolico è saltato. E quando salta quel legame, tutto il resto diventa secondario.
Torrisi ha anche toccato un nervo scoperto: gli ultimi anni della Reggina sono stati segnati da stagioni definite «buone» ma prive di reali successi. Scontri diretti persi, secondi posti considerati traguardi, soddisfazioni minime spacciate per progressi significativi.
Il tecnico ha detto una frase che pesa più di tutte: «Se arrivi secondo, hai fallito».
È una dichiarazione controcorrente nel calcio, dove spesso si tende a cercare attenuanti per non ferire sensibilità interne. Ma è anche il messaggio più giusto per una piazza che, nel suo DNA, non si accontenta. E che merita una squadra all’altezza delle sue ambizioni e della sua storia.
Il tema più delicato: la mentalità
La «povertà mentale» di cui parla Torrisi non è un insulto, ma una definizione lucida: la squadra affronta le partite pensando che la vittoria arriverà comunque, magari grazie alla qualità individuale. È una mentalità pericolosa, soprattutto in categorie dove la differenza non la fai con il nome o la tecnica, ma con la fame, la compattezza, il sacrificio.
Il riferimento di mister Torrisi ai tatuaggi e alla cura dell’immagine, apparentemente duro, è in realtà una metafora: significa che la squadra si concentra su ciò che è secondario, trascurando l’essenziale.
Un aspetto che dà forza alle sue parole è il fatto che Torrisi non si pone al di sopra del problema. Anzi, si mette dentro. Dice di sentirsi sconfitto, di non riuscire a trasmettere il proprio pensiero, di essere pronto a fare un passo indietro se necessario.
Mercato sì, ma non basta: servono uomini prima dei giocatori
«Servono interventi sul mercato perché la squadra, così com’è, non può reggere» ha dichiarato Torrisi. Ma non bastano i nomi, non bastano i profili tecnici. Servono uomini capaci di portare mentalità, personalità, spirito di sacrificio.
Servono leader. Servono giocatori abituati a giocare per la squadra e non per se stessi. Servono calciatori che sappiano vivere il Granillo come un privilegio, non come un peso.
La Reggina è davanti allo specchio
A chi si aggrappa alla speranza del mercato invernale, una verità scomoda: i rinforzi servono, ma non bastano. Se manca la fame, se manca lo spirito di sacrificio, ogni nuovo innesto rischia di diventare un altro “quasi” in una scia di stagioni incomplete. Non sappiamo se le parole di Torrisi resteranno un grido isolato o diventeranno il punto di ripartenza. Ma una cosa è certa: continuare a fingere che vada tutto bene, o che basti aspettare la prossima partita per cambiare il trend, sarebbe l’ennesima illusione.
E la Reggina, oggi, di illusioni non può più permettersene. Servono verità, responsabilità e identità. E la verità, per una volta, è arrivata forte e chiara. Adesso tocca alla squadra dimostrare di meritarla.